sabato 15 agosto 2015

Winston (Feast)



Anno 2014

fonte: Disney Compendium
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Il protagonista di Feast è Winston, un tenero Boston Terrier che viene adottato in tenera età dal suo nuovo padrone James. La scelta di questa razza canina in particolare è stata determinata da tre fattori: innanzitutto i Boston Terrier non erano mai stati utilizzati in precedenti produzioni Disney, in secondo luogo un cane di piccola taglia poteva essere collocato nei diversi scenari con una certa libertà, e infine il suo manto bianco e nero risaltava molto bene sugli sfondi a colorazione piatta del cortometraggio. La scelta si rivela azzeccata e il piccolo Winston sin dai primi momenti riesce immediatamente a stabilire un collegamento emotivo con lo spettatore, che ne seguirà la vicenda, passando attraverso le diverse fasi della vita di James.
Ben presto Winston si adegua infatti alle abitudini alimentari del suo padrone rimpinzandosi con lui di junk food, fino all'incontro con la cameriera di un ristorante dallo stile di vita ben più sano, che farà scomparire dalla sua ciotola hamburger e patatine, per rimpiazzarli con foglioline di prezzemolo. Per tutta la durata dello short vedremo il cagnolino subire passivamente ogni cambiamento intorno a lui, beneficiando talvolta degli sbalzi d'umore di James, dovuti ai suoi problemi di cuore. Questa meravigliosa altalena alimentare trova compimento nel bellissimo finale, in cui Winston prende in mano la situazione e attraverso una simbolica foglia di prezzemolo riesce a riunire la coppia. Spinto dalla sua istintiva lealtà, il cagnetto accetta così di tornare ad una routine alimentare più regolare, dalla quale viene distolto solo dopo la nascita dei pargoli di James. Feast è dunque una storia più profonda di quanto sembrerebbe in apparenza, capace di parlare della vita stessa, partendo da un elemento apparentemente poco considerato come il cibo.
Nel 2012 l'uscita dello straordinario Paperman e l'arrivo del rivoluzionario software Meander aveva spalancato una finestra su un futuro intrigante, in cui animazione tradizionale e computer grafica si sarebbero fusi insieme per dare vita ad una tecnica ibrida che prendesse il meglio da entrambe. Meander permetteva agli animatori di disegnare direttamente sopra ai modelli in CGI, facendoli letteralmente reagire alle linee tracciate dalla matita/scalpello, a cui si aggiungeva un sistema di intercalazione automatica. (...) Pur partendo dallo stesso procedimento utilizzato nel 2012, che vede la rifinitura dei modelli in CGI per mano dei disegnatori dello studio, a dare bidimensionalità ai personaggi e agli ambienti questa volta non è la linea, cavallo di battaglia di Paperman, bensì il colore. Assente nel precedente cortometraggio, il colore è qui il vero grande protagonista, avvolgendo con le sue chiazze a tinta piatta personaggi e ambienti, che vengono così definiti in modo astratto. Le texture volutamente irregolari di ogni elemento presente sullo schermo non fanno che aumentare la resa “cartacea” delle immagini, mentre il pulviscolo fluttuante sulla scena spezza volutamente tale illusione, ricordandoci che si tratta pur sempre di set tridimensionali. L'effetto finale è quello dei concept art in movimento, in grado di comunicare emozioni molto forti come negli anni 40 riuscivano a fare i quadretti a tinte piatte di Mary Blair. (...)



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