venerdì 14 agosto 2015
Paperman (Paperman)
Anno 2012
fonte: Disney Compendium
Quando Glen Keane si mise a lavorare a Rapunzel, aveva in mente una tecnica che potesse dare alla CGI una resa pittorica. A quei tempi c'erano ancora grosse difficoltà ad animare in tre dimensioni la figura umana, per cui l'esigenza di nobilitare in qualche modo una tecnica ancora imperfetta era tangibile. In uno scenario in cui l'animazione tradizionale era sul punto di morire, c'era sicuramente la necessità di individuarne gli elementi chiave e metterne in salvo il più possibile. Sappiamo tutti com'è andata poi: il film uscì senza resa pittorica, ma con un'animazione davvero unica, che riproduceva in tre dimensioni buona parte del feeling della cara vecchia animazione tradizionale, il tutto grazie alle direttive di Glen Keane, supervisore principale delle animazioni del film.
C'era però un altro supervisore, John Kahrs, che si preoccupava delle sorti del 2D, e che sognava di veder cessare questa “rivalità” tra tecniche. Kahrs raccolse il testimone di Glen Keane, ormai in procinto di andarsene dalla Disney, e decise di portare avanti il discorso cominciato con Rapunzel, sviluppando stavolta una terza tecnica d'animazione che potesse fondere insieme le altre due, prendendo il meglio di entrambe, e annullando così una volta per tutte questa dicotomiaLa linea era la chiave di tutto. L'unico elemento che l'animazione computerizzata non aveva mai saputo riprodurre era quella capacità propria di ogni buon disegnatore di saper descrivere una figura con pochi energici tratti di matita. Tutto il resto poteva venir comodamente riprodotto in CGI, specialmente con l'evoluzione tecnologica avuta negli ultimi anni, ma la linea no, rimaneva l'unica autentica esclusiva del disegno bidimensionale. Trovare un sistema per recuperare la linea e reintrodurla nelle dinamiche produttive odierne, ormai totalmente votate alla computer grafica e alla volumetricità, avrebbe significato salvare una forma d'arte dall'estinzione. La soluzione è stata infine trovata, e si chiama Meander, un software rivoluzionario che permette finalmente il connubio tra le due tecniche: partendo dai concept dei disegnatori della squadra 2D, gli animatori CGI creano dei modelli grezzi dei personaggi, come se fossero delle bozze. Spetta agli animatori 2D il compito di rifinirle, disegnando direttamente sopra ai modelli, sui quali rimane impressa la famigerata linea. E a questo punto avviene il miracolo. Diversamente dal cel-shading, in cui ci si limita a contornare figure tridimensionali con una linea posticcia, qui le due tecniche si vengono incontro in modo reciproco e spontaneo. Il modello CGI infatti “subisce” l'intervento del disegnatore, adattandosi ad esso, un po' come se si lasciasse scolpire dalla matita. Allo stesso tempo però anche la componente 2D viene completata dalla CGI, dato che il disegnatore si limita a realizzare i fotogrammi chiave, mentre le intercalazioni vengono fatte automaticamente dal computer, che muove in tempo reale le linee adattandole al modello. Il risultato? Figure che sembrano disegnate se viste col fermoimmagine, ma che non appena si muovono, mostrano tutta la loro dimensionalità, in un continuo gioco di illusioni ottiche. E poi serviva qualcosa da rappresentare, che potesse valorizzare ed essere a sua volta valorizzato da una tecnica del genere. Troppo spesso infatti i recenti corti WDAS erano stati celati al grande pubblico, vittime di distribuzioni assolutamente infelici. Lavori come Lorenzo, Glago's Guest e Tick Tock Tale, rimangono tutt'ora inediti, e questo non sarebbe dovuto accadere ancora. Non ad un corto tanto importante per il futuro del cinema d'animazione.
Si sa che la dirigenza Disney ama andare sul sicuro, specie in questi tempi di crisi, autorizzando quasi solo progetti in computer grafica, specialmente dopo il successo di Rapunzel. Per convincerli a puntare su questa nuova tecnica, appoggiandone lo sviluppo, serviva che questo corto avesse una certa risonanza mediatica e una collocazione felice. Non ci si poteva basare solo sull'animazione, bisognava realizzare un capolavoro i cui meriti andassero oltre, che potesse emozionare il pubblico legandolo ai personaggi e narrandogli una storia intrigante. Bisognava raccontare una storia d'amore. Ed ecco quindi prendere forma George e Meg, due impiegati in una New York anni 50 rigorosamente in bianco e nero. I due non si conoscono, fino a che il caso non ci mette lo zampino e una mattina i loro sguardi si incrociano mentre aspettano il tram. Ma nella realtà di tutti i giorni si sa come funzionano queste cose: la gente è presa dalla sua routine e questo tipo di contatti dura un attimo. Un attimo lungo abbastanza da permetterti di sognare, ma troppo breve perché si possa concretamente fare qualcosa. E così George perde la sua occasione. Ma il destino gliene presenta stranamente un'altra, facendogli scorgere Meg dall'edificio accanto a quello in cui lavora. Toccherà a lui stavolta usare bene questa seconda chance e ristabilire quel contatto... lanciando aeroplanini di carta. Questa è solo la premessa, ma il corto racconta altro, molto altro nei suoi fulminei sette minuti, e quando lo spettatore, dopo un climax pazzesco e pieno di magia Disney, arriva al capolinea, i suoi occhi sono pieni di lacrime. E a quel punto la tecnica passa addirittura in secondo piano. Perché ci si accorge che non è solo quella a rendere Paperman tanto speciale, ma anche il resto. La regia di Kahrs è qualcosa di incredibile, a dir poco virtuosa, il plot nella sua semplicità è narrato benissimo, i personaggi hanno una caratterizzazione e un design formidabile, le gag hanno dei tempi comici azzeccatissimi, il significato che permea il corto è da inchini. E non dimentichiamo la colonna sonora di Christophe Beck le cui inedite sonorità immergono a meraviglia nell'atmosfera, esplodendo nei punti chiave della narrazione. (...)
Pubblicato in:
BluRay - Ralph Spaccatutto
BluRay - Walt Disney Short Films Collection
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