sabato 29 settembre 2012
Winnie the Pooh - Nuove Avventure nel Bosco dei Cento Acri (Winnie the Pooh)
Anno 2011
51° lungometraggio Walt Disney Animation
fonte: la tana del sollazzo
1. Walt e i Giocattoli di Christopher
C'era una volta un padre che non si riteneva troppo bravo a interagire con suo figlio, il suo nome era Alan Alexander Milne, e il ragazzino si chiamava Christopher Robin. Per aggirare questo problemino il padre decise di comunicare con lui attraverso la parola scritta, inventando racconti che avessero come protagonisti Christopher Robin e i suoi pupazzi. Milne finì per riempirci ben due libri: erano storie delicate, poetiche ma nel contempo assolutamente nonsense, visto che erano ambientate in un bosco di fantasia popolato da animali giocattolo che ragionavano come bambini, e soprattutto illustrate magistralmente da Ernest Shepard, un disegnatore dallo stile molto particolare, sporco e morbido al tempo stesso. Tutto questo colpì la fantasia di Walt Disney che negli anni 60 mise al lavoro il suo staff sul lungometraggio episodico intitolato Le Avventure di Winnie the Pooh, che venne completato solo nel 1977. Il motivo di questo ritardo è presto detto: si tratta di un caso più unico che raro nella filmografia Disneyana, dal momento che a metà della lavorazione si preferì suddividere il progetto in tre parti, rilasciando a pochi anni l'uno dall'altro ognuna di queste parti sottoforma di mediometraggi. L'idea di Walt era di fidelizzare progressivamente il pubblico americano, facendogli conoscere poco a poco i personaggi del Bosco dei Cento Acri, salvo poi eventualmente riunire le tre parti in futuro. Cosa che avvenne dopo la sua morte, infatti nel 1977 le tre featurette furono montate insieme e mandate nei cinema, accompagnate da un poeticissimo epilogo, con quel dialogo tra Christopher e il suo orsetto di pezza che segnava in un certo senso la fine della spensierata età infantile. A dispetto degli stereotipi, si era così ottenuto quindi l'unico film animato Disney indirizzato principalmente ad un pubblico di bambini, ma perfettamente fruibile anche da un adulto: la pellicola infatti giocava molto sul concetto stesso di infantilismo, prendendosi gioco dei comportamenti ingenui dei personaggi, a volte precipitando nel nonsense più totale, e non mancavano alcune trovate metanarrative davvero geniali, come le interazioni con lo stesso narratore o la consapevolezza dei personaggi di trovarsi in un libro.
2. Un Pupazzo allo Sbando
E poi ci fu la deriva. I personaggi ebbero un grandissimo successo, esattamente come aveva previsto Walt, al punto che si abusò di loro. In seguito al Classico infatti, il cast del Bosco dei Cento Acri passò in mano al reparto televisivo, sorto negli anni 80, e da lì in poi cominciò la loro discesa. Nell'arco di due decenni vennero messe in piedi tre serie televisive, prodotti una marea di lungometraggi sia direct to video che cinematografici, per non parlare delle compilation e degli special tv, prodotti di ogni tipologia e qualità che finirono per inflazionare il povero orsetto, al punto di far dimenticare al pubblico le sue radici. Inizialmente si trattava di prodotti di buona fattura, che un senso ce l'avevano: la prima serie tv, quella in animazione tradizionale, era sicuramente un prodotto curato che interpretava il mondo di Milne con un certo rispetto, ed era molto buono pure il primo sequel direct to video, Alla Ricerca di Christopher Robin che parlava della crescita del padroncino e dello sconvolgimento che questo portava nella vita dei suoi giocattoli. Il picco qualitativo si ebbe con T Come Tigro, prodotto curatissimo sia nell'animazione che nella caratterizzazione dei personaggi, che si meritò pienamente l'uscita nelle sale, e la firma dei fratelli Sherman alla colonna sonora. Ma da lì in poi qualcosa si inceppò: le idee erano finite e lo stesso brand cominciò ad allontanarsi sempre più dallo spirito originario. I Toon Studios, nome che nel frattempo aveva assunto il reparto lungometraggistico della Disney Television, tentavano con sempre meno budget e con soluzioni sempre più maldestre di dare continuità al tutto, ma già Pimpi, Piccolo Grande Eroe pur raccontando alcuni capitoli non ancora adattati dell'opera di Milne, mostrava una certa fiacchezza di fondo. Da lì alla snaturazione totale il passo era brevissimo, e questa avvenne con alcune idee tutt'altro che brillanti: la prima fu ripiegare sul personaggio del cangurino Ro. Trattandosi di un bambino, il marketing pensò bene di farlo salire alla ribalta puntando su di lui e mettendo in ombra il resto del cast, nel vano tentativo di favorire l'identificazione da parte dei bambini. Uscì quindi direttamente in home video Ro e la Magia della Primavera, seguito poco tempo dopo da Winnie the Pooh e gli Efelanti nelle sale cinematografiche, dove non contenti andarono a pescare a piene mani nella mitologia del Pooh originale, dando corpo e fattezze al concetto di Efelante...il tutto per dare a Ro un amichetto con cui torturare lo spettatore a suon di melensaggini puerili. Un'altra sciagurata idea fu quella di invadere il mercato con compilation stranissime, dalla struttura ibrida: Buon Anno con Winnie Pooh e Il Primo Halloween da Efelante erano infatti composti per due terzi da pessima animazione realizzata ad hoc e per il terzo rimanente da alcuni holiday special prodotti un decennio prima, un modo "furbo" per moltiplicare senza fatica le uscite, piazzando sul mercato lungometraggi fasulli che potessero sfruttare il brand e mettere in scena lo stramaledetto efelante. E poi ci fu l'ultimo anello di questa catena, la produzione di una serie tv prescolare in CGI su Playhouse Disney, I Miei Amici Tigro e Pooh, nel quale erano ormai scomparsi personaggi come Uffa e Christopher Robin, rimpiazzati ormai dall'efelante Effy e soprattutto della new entry Darby, la nuova bambina del bosco. La serie venne cancellata dopo poco tempo, fortunatamente, e dalla nuova dirigenza arrivò l'input di porre rimedio agli scempi fatti negli ultimi anni riportando in qualche modo alla ribalta il Pooh di un tempo.
3. A Very Important Film To Do
Questa esigenza di risanamento di un brand devastato coincideva in pieno con le esigenze di John Lasseter, in quel momento impegnato a far rinascere qualitativamente i Walt Disney Animation Studios. La Principessa e il Ranocchio non aveva ottenuto grossi risultati e la scaletta delle uscite andava ripensata, questo aveva causato delle voragini produttive negli anni immediatamente successivi, e la cosa andava impedita. Il team 2d era stato da poco rimesso insieme e non doveva separarsi un'altra volta, per cui serviva un progetto semplice e modesto che potesse tenerlo impegnato abbastanza tempo, stimolandolo a dovere. E come secondo progetto in animazione tradizionale, Winnie the Pooh cadeva a fagiolo: in fondo non avrebbe richiesto certo un grosso budget, né avrebbe avuto bisogno dell'approvazione delle alte sfere, per non parlare del fatto che gli animatori della seconda generazione, addestrati dai nine old men, non avevano mai avuto occasione in tutti questi anni di cimentarsi con i personaggi di Milne, proponendone una loro interpretazione, e molti di loro erano cresciuti con il Pooh originale, per cui ci erano affettivamente molto legati. Fu quindi una festa per tutti loro l'assegnazione dei vari personaggi: al mitico Andreas Deja toccò infatti riportare in scena Tigro mentre ad Eric Goldberg venne assegnato Tappo. Altri validissimi talenti come Bruce Smith (Pacha, Facilier), Dale Baer (Yzma, Alameda Slim) e Randy Haycock (Clayton, Kida, Naveen) vennero messi al lavoro rispettivamente su Kanga/Ro/Pimpi, Uffa e Ih-Oh, mentre al grande Mark Henn toccò il difficile compito di gestire i protagonisti Christopher Robin e Winnie Pooh! A capo degli sceneggiatori invece venne messo il veterano Burny Mattinson, presente agli studios sin dai tempi del Pooh originale, e famoso per aver diretto quell'immortale capolavoro di Mickey's Christmas Carol. Avere Mattinson era una garanzia di qualità e brillantezza, visto che aveva dimostrato in quell'occasione una certa esperienza nell'attualizzare personaggi classici da tempo dimenticati, e penso che sia stato questo il colpaccio migliore per i due registi Stephen Anderson e Don Hall, che avevano già realizzato l'arguto, anche se imperfetto, Meet the Robinsons.
4. Risate, Non Sbadigli!
Mattinson e la sua crew decisero ben presto di creare quindi una seconda metà del progetto Pooh voluto da Walt Disney, mettendo in lavorazione l'adattamento di alcuni capitoli non ancora trasposti dei due libri di Milne. Già col mediometraggio Il Compleanno di Ih-Oh, prodotto da uno studio esterno, e col lungometraggio Pimpi, Piccolo Grande Eroe dei Toon Studios si era provato a completare l'opera di adattamento (anche se nell'ultimo caso con molta meno brillantezza che nell'originale), per cui era rimasto poco materiale su cui lavorare senza cadere in contraddizione: alla fine si decise di adattare un capitolo del primo libro, Nel quale Isaia perde la coda e Puh la ritrova, e uno del secondo, Nel quale Coniglio ha una giornata intensa e noi scopriamo che cosa fa Christopher Robin la mattina, mischiandoli con alcuni spunti tratti dai due capitoli in cui i personaggi rimangono bloccati in una trappola per Efelanti. A dire il vero il capitolo su Christopher Robin aveva fornito l'ispirazione già per Alla Ricerca di Christopher Robin, primo delizioso sequel direct to video di Pooh, dove però il tutto era stato inteso in modo molto più drammatico, qui pur senza invalidare i vecchi film si è cercato di raccontare la cosa con un approccio molto diverso. Il primo terzo del film è infatti occupato quasi unicamente dalla trama di Ih-Oh che perde la coda e del contest organizzato dagli altri pupazzi per rimpiazzargliela. Ma dopo la prima ventina di minuti Christopher Robin va a scuola, lasciando un bigliettino sulla porta, e Uffa lo fraintende, raccontando a tutti che il ragazzino è stato rapito da un mostro immaginario chiamato Appresto. La storia vira quindi sul tentativo di tendere una trappola a questo mostro e salvare così Christopher dalle sue grinfie, senza dimenticare però la quest per trovare una nuova coda a Ih-Oh, che solo nel finale si ricongiungerà con la trama principale. Perché, ebbene sì, sebbene il Classico originale fosse a episodi, per via della sua natura antologica, si è voluto qui tentare di creare un lungometraggio normalissimo, combinando assieme le storie per ottenere una narrazione unitaria. La stessa scelta era stata compiuta più e più volte dai Toon Studios che però molto raramente erano stati in grado di raccontare qualcosa di abbastanza interessante per un'ora e passa, cadendo molto spesso nella noia. Ma Lasseter, Mattinson e soci avevano stavolta intenzione di sfatare il mito per cui Pooh potesse essere fruibile solo da un pubblico infantile, volevano - come da dichiarazioni dello stesso Lasseter - creare un film che potesse essere visto con molto divertimento anche dagli adulti. Per far questo non c'era che una strada: imbottire il lungometraggio di trovate di ogni tipo. Ecco quindi tornare in auge la metanarrazione del Classico originale, che era via via scomparsa nel corso degli anni: i personaggi scorazzano in giro per il libro, giocano con le parole, scivolano tra i paragrafi, saltano tra una pagina e l'altra e usano questi trucchetti per "barare" traendosi d'impaccio, all'occorrenza. Questo genere di cose spiazza e colpisce lo spettatore adulto sempre e comunque, tenendo ben desta l'attenzione, che già di per sé non manca affatto, visto che un altro trucchetto per rendere universalmente interessanti le vicende è quello di riempire la pellicola con carrettate di umorismo. I personaggi in questione sono infatti pupazzi animati dalla mente di un bambino, del quale conservano la logica un po' ballerina e una certa ingenuità di fondo: in altre parole chi più, chi meno, sono quasi tutti dei dementi, e il narratore questo lo sa e lo mette in evidenza in più occasioni. Quindi tra risate dovute ai continui svarioni dei personaggi, e moti di stupore dovuti ad un setting a metà strada tra il boscoso e l'astratto, il film racconta la sua semplice storia in poco più di un'ora. Bastano questi accorgimenti per poter dire che Lasseter ha vinto la sfida? Sì. Pur nascendo come film minore, più modesto e meno pretenzioso del solito, questo cinquantunesimo Classico Disney è, qualitativamente parlando, il migliore da anni a questa parte. A differenza di Rapunzel o La Principessa e il Ranocchio, stupendi ma non privi di qualche sbavatura, questo Winnie the Pooh sfiora la perfezione: le animazioni 2d danno la paglia a Tiana e soci, lo humor è qualcosa di sopraffino e veramente intelligente, le canzoni pure, per non parlare dell'interpretazione dei personaggi e della sceneggiatura che riesce a valorizzare una trama semplicissima, ma narrata a regola d'arte con una narrazione pulitissima e ritmata in modo magistrale. Insomma, evidentemente si è trovata l'alchimia giusta tra personaggi, sceneggiatori, registi e animatori, un'alchimia così perfetta che avrebbe potuto rendere ancora migliori le ultime produzioni, e che è strano sia saltata fuori solo adesso per un filmetto tanto sottovalutato.
5. Personaggi in Grande Spolvero
Uno dei meriti principali del lungometraggio in questione è la gestione dei personaggi, a cominciare dal protagonista. Il titolo originale (semplicemente Winnie the Pooh) era stato molto chiaro in merito: si trattava di una sorta di reboot per il brand, ovviamente, di un ritorno alle origini, ma soprattutto un ritorno alla centralità dell'orsetto che era stata messa in discussione sin dall'ultimo terzo del classico originale. Da lì in poi, nelle varie serie tv, nei vari lungometraggi Toon Studios erano sempre stati i comprimari a condurre l'azione, mentre Pooh era sempre stato solo un povero scemo, un impiccio quasi, a cui far dire un paio di frasi stupide, giusto per ricordare che c'è. Non che in questo film l'orsetto sia meno demente, anzi, lo è più che mai, ma la sceneggiatura e il fuoriclasse Mark Henn fanno in modo che lo spettatore si immedesimi in lui, simpatizzi per Winnie il più possibile lungo tutta la durata del lungometraggio. La prima cosa che succede è che il miele finisce, cosa che manda Pooh in crisi: per tutto il film, qualsiasi cosa avvenga intorno a lui non ci si dimentica mai di questo particolare, e seguiamo quindi il tutto dal punto di vista di un Pooh in astinenza, con brividi, visioni e gag sempre più divertenti, che esplodono nella magnifica sequenza astratta in cui sogna che ogni cosa sia fatta di miele. E' un Pooh stupido, instintivo, quasi bestiale, ma nel contempo con dei tocchi di genialità da far invidia a Pippo, e che più di una volta risolve inconsapevolmente la situazione. E il tutto è gestito così bene che col proseguir della storia ci si ritrova a parteggiare per lui al punto che quando alla fine vince la sua dipendenza e viene ricompensato, si prova una sincera soddisfazione. Tutti gli elementi che nella precedente gestione del personaggio avrebbero portato una noia mortale vengono qui rielaborati al meglio, intrattenendo lo spettatore il più possibile. Non meno riusciti sono i meravigliosi fondali, che presentano una scala cromatica davvero sbalorditiva (con alcune sporcizie che rimandano alla xerografia dell'originale), e gli altri personaggi come il Tigro di Deja, graficamente mirabolante, esuberante come sempre ma non troppo invasivo, il Tappo di Goldberg, ansioso e stressato ma parecchio ingenuo, o l'Ih-Oh di Haycock, qui doppiato da Bud Luckey, mito Pixariano e regista dell'Agnello Rimbalzello. L'approccio che questi artisti immensi hanno avuto con questi bei personaggi è veramente ammirevole: perfettamente a metà strada tra la mimesi completa con lo stile del primo Pooh e una reinterpretazione personale e autoriale, che infonda del proprio e in un certo senso aggiorni al tempo presente l'intero cast.
E' ovviamente assente l'efelante Effy, giustamente rinnegato, ed è stato quindi ridimensionato il ruolo di Ro e di conseguenza quello di Kanga, riportando il duo di canguri al loro ruolo originario. Un po' meno bello che dal film sia assente il personaggio di De Castor, presente sia nel Classico originale che nella serie televisiva (dove aveva un grande spazio), ma era una cosa intuibile, dal momento che era sparito da anni per problemi con gli eredi di Milne che non gradivano che fosse stato aggiunto un personaggio così americano nel Bosco dei Cento Acri. Un ritorno più che gradito è invece quello di Uffa, messo da parte completamente negli ultimi anni (era assente sia negli ultimi film che nella serie CGI) e qui in grande spolvero, animato in maniera magistrale da Dale Baer, e caratterizzato da una spocchia e un'idiozia davvero notevole. E sia lui che Pimpi, sono protagonisti dei momenti più esilaranti del film, nella magnifica scena in cui tutti i personaggi finiscono dentro un buco e non sanno come uscirne. Discorso a parte merita la reinterpretazione di Christopher Robin di Henn, che ha avuto il coraggio di cambiarne il modello aggiornandogli gli occhi un po' come avvenne a Topolino negli anni 40: è chiaro che si suggerisce che sia passato un po' di tempo e che Christopher sia leggermente cresciuto. Alla fine infatti si parla di anno scolastico che dopo l'estate ricomincia, non certo di primo giorno di scuola, suggerendo che sia passato parecchio tempo, senza andare necessariamente in conflitto con Alla Ricerca di Christopher Robin. Certo, questa rilettura allegra della situazione è assolutamente priva di quell'angoscia poetica degna di Toy Story 3 che traspariva da quel primo direct to video, e magari anche in contrasto con la malinconia che traspariva dal trailer (con la canzone dei Keane, Somewhere Only We Know), ma di certo se si voleva proporre Pooh al grande pubblico nella situazione attuale era l'umorismo brillante la strada giusta. Ed è stata percorsa.
6. Dai Fratelli Sherman ai Coniugi Lopez
Un altro dei grandissimi pregi di questo film è la colonna sonora. Certo venire dopo Alan Menken è una bella gatta da pelare, ma Pooh gioca in un altro campo, che è quello della canzoncina sciocca, ma buffa. Era questo lo stile che i fratelli Sherman avevano creato negli anni 60, quando si misero all'opera sulla colonna sonora di Winnie. I fratelli Sherman per ragioni di età non potevano tornare (e si ricorda che esattamente un decennio prima l'avevano fatto per T Come Tigro) e negli ultimi anni anche sotto il profilo musicale l'epopea dell'orsetto era scaduta alquanto, con canzoni scadenti o melense. Non sempre erano state cattive ovviamente, si ricorda la parentesi Carly Simon che in Pimpi e negli Efelanti aveva composto qualche bel brano, dopo esser stata reclutata dalla Disney per prendere in mano il brand, ma gira e rigira lo stile era molto differente dall'originale, dal quale ci si stava allontanando sempre più. Per questo ritorno alla classicità sono stati invece reclutati Henry Jackman per gli score, e per le canzoni i coniugi Robert e Kristen Anderson-Lopez, apprezzati compositori di musical teatrali e qui al loro primo ingresso in Disney. E neanche a farlo apposta la scelta si è rivelata azzeccatissima: le canzoni passano dal tenero al demenziale, dall'allegro al cupo senza mai perdere quel tratto distintivo leggero e melodico mutuato direttamente dai fratelli Sherman. Si fatica veramente a notare una soluzione di continuità tra le due colonne sonore, e questo è un bene perché significa che anche sotto questo profilo la sfida è stata vinta.
La prima canzone a sentirsi ovviamente è una reinterpretazione, cantata dall'icona indie Zooey Deschanel, del tema principale Winnie the Pooh composto dagli Sherman. La sequenza descritta è ovviamente la presentazione del Bosco dei Cento Acri, che avviene sulle pagine del libro con lo stesso stile delle classiche featurette. Ed è proprio un bell'effetto vedere muoversi con un'impeccabile fluidità un Christopher rimesso a nuovo su sfondi tanto stilizzati e storici. Notevole anche l'aggiunta di Tigro che scorazza vicino alla casa di Kanga, esattamente come nel libro dove è perennamente suo ospite (ignorando ma non contraddicendo la sua casa vista dalla serie tv in poi). Il primo brano originale è The Tummy Song, deliziosa canzoncina che Winnie intona appena svegliato per quietare il suo pancino brontolante, a sua volta un personaggio a sé, leit motiv che ci porteremo avanti fino alla fine del film. Ed è uno spettacolo, tanto semplice quanto azzeccata, riesce a riportare in vita le stesse sonorità sciocchine che nella prima featurette l'orsetto intonava a sé stesso quando faceva ginnastica per farsi venir fame o quando si arrampicava sull'albero in cerca di miele. Eppure è trascinante, e riesce nel contempo a portarci dentro la psiche di Pooh e farci simpatizzare per il suo bisogno incessante di miele, non rinunciando a farci vedere i primi virtuosismi metanarrativi con Pooh che scivola tra le masse di testo per nascondersi dalle api. Segue poi la brevissima e simpatica A Very Important Thing to Do, cantata nuovamente fuoricampo da Zooey Deschanel, in cui i personaggi vengono convocati per trovare una nuova coda a Ih-Oh, che riprende invece quel tipo di sonorità soavi e rilassanti tipiche di certi brani fuoricampo dell'originale Pooh. Inoltre è una perfetta sequenza per l'introduzione dei personaggi, che appaiono tutti in grandissima forma e che vengono chiamati a raccolta ognuno con una gustosissima gag. Al contest per la coda segue The Winner Song che è più che altro un motivetto che viene ripetuto più volte lungo tutto il film per premiare questo o quel personaggio, a mo' di tormentone. Ma il vero capolavoro arriva dopo: The Backson Song è genio puro. E' la sequenza cupa e astratta totalmente concepita da quel folle di Eric Goldberg, che si pone sullo stesso piano della storica Heffalumps and Woozles, ma utilizza uno stile grafico del tutto diverso. Uffa spaventa tutto il suo codazzo di amici inventandosi il temibile Backson, storpiatura di "back soon", qui da noi tradotto efficacemente come Appresto, una sorta di dispettoso energumeno che fa del trollaggio il suo stile di vita. Ovviamente si fa il verso alla logica infantile, che da sempre in Winnie Pooh viene messa in burletta mostrando i personaggi autoilludersi a proposito di questa o quella minaccia, ma per come le cose sono gestite viene da chiedersi se non si stia parodizzando più che altro la società e le psicosi di massa. Lo stile grafico stilizzatissimo di questa scena è reso possibile da una lavagnetta in cui vengono disegnati a turno con dei gessetti dai vari personaggi tutti i problemi della vita, attribuiti scioccamente a questo Appresto. Possibile che Goldberg si sia ispirato alle stilizzazioni viste nel corto Jack and Old Mac e soprattutto nella serie del grillo I'm No Fool in cui la lavagnetta era centrale. E un pezzo immaginifico, mirabolante ma nel contempo assolutamente comico, con una punta di epicità verso la fine che annega nuovamente nella comicità totale, quando negli ultimi versi i personaggi salutano Uffa con un "a presto" lasciandolo lì a riflettere sull'assonanza con il mostrone da lui immaginato.
Ovviamente non finisce qui, perché anche Tigro ha una canzone (oltre ad un breve reprise di The Wonderful Thing About Tiggers), in cui cerca di tigrizzare Ih-Oh, It's Gonna Be Great, assolutamente divertente come scena (e abbastanza debitrice di ciò che si è sentito in T Come Tigro), anche se lascia un po' lo spettatore a chiedersi se Tigro con la sua esuberanza non rifletta in qualche modo la personalità di quei bambini iperattivi che finiscono paradossalmente per rimanere emarginati. Ma probabilmente Tigro in questo film interagisce poco col resto della comitiva per rimetterlo un po' al suo posto dopo che negli ultimi anni è sempre stato prepotentemente al centro della scena. La seconda grande sequenza astratta è quella in cui Pooh, completamente in astinenza da miele, inizia ad avere visioni sempre più disturbanti, a sentire i suoi amici parlare solo di miele (e l'effetto è divertentissimo) e finisce dentro un'allucinazione utopica in cui tutto quanto è fatto di miele: la canzone è Everything is Honey, ed è deliziosamente orecchiabile e trascinante, anche se visivamente non può competere con le mille trovate della scena dell'Appresto. Infine Pooh's Finale è il coronamento della ricerca di Pooh e, più che una vera e propria canzone, è una sorta di trionfale reprise di The Winner Song e Everything is Honey cuciti insieme per creare un climax bellissimo che fa uscire dal Bosco dei Cento Acri con il sorriso sulle labbra. I titoli di coda sono un po' un discorso a parte, visto che presentano la terza canzone cantata da Zooey Deschanel, So Long, mentre sullo schermo scorrono varie chicche. Dapprima la versione live action di ciò che è veramente accaduto durante il film: infatti vediamo i pupazzi di Christopher Robin messi nelle posizioni più svariate per scimmiottare gli accadimenti del film, come se a muoverli fosse stato da sempre un bambino. A seguire i credits scorrevoli, disseminati di gag animate coi personaggi che fanno ogni tipo di cosa divertente per intrattenere lo spettatore fino all'ultimo minuto, che ci regala una scena post credits veramente esilarante.
7. Sciocco di un Filmetto?
Insomma un film straordinario, che ci mostra animazione, sceneggiatura, musica e umorismo a livelli davvero eccelsi. Ma un compromesso resta rempre un compromesso, e di certo l'ok a questo film non è stato dato per far divertire Andreas Deja e soci sui personaggi creati dai loro maestri. Stiamo parlando di un film di Winnie Pooh, e al marketing non importa quanto sia straordinario che a metterci la firma siano stati i WDAS. Potrà anche essere un capolavoro di virtuosismi, potrà aver prolungato la vita del 2d, ma l'unico motivo per cui la Disney l'ha finanziato è quello di utilizzarlo come rilancio per il brand, e questo ha provocato una distribuzione assai atipica che nulla ha a che spartire con i Classici Disney più tradizionali. Già il fatto che sia stato proiettato in Europa ben tre mesi prima che negli USA è una cosa senza precedente alcuno, mentre il fatto che in Italia sia stato proiettato per sole due settimane e solo in un numero limitatissimo di sale aderenti all'iniziativa promozionale (con tanto di biglietti gratis distribuiti con la rivista omonima), salvo poi esser buttato sul mercato in dvd - e non in blu-ray - poco più di un mese dopo, fa ben capire come si sia trattata di una microdistribuzione. Anzi, di un'anteprima nelle sale riservata a poche famiglie elette, per un prodotto che svolgerà la sua funzione solo in home video, e con un passaggio televisivo su Disney Junior, peraltro già annunciato. Sì, un direct to video d'autore, cosa molto svilente, anche perché, oltre che essere passato inosservato agli occhi del grande pubblico, che continuerà in questo modo ad avere un'idea di Winnie Pooh alquanto pregiudiziosa, si è riusciti a lisciare completamente anche il fandom Disneyano, che quasi non è a conoscenza del fatto che sia già uscito il film successivo a Rapunzel, né in queste circostanze potrà mai essere troppo propenso a recuperarlo. Ma in tanta amarezza qualche nota positiva c'è, ed è che i cinema hanno proiettato questo gioiello accompagnato dal gioiellino The Ballad of Nessie, corto in 2d che riprende lo stile di Mary Blair, confezionando così uno spettacolo veramente imperdibile. Inoltre si spera che negli USA i risultati siano migliori dal momento che di recente è stata fatta una proiezione di prova nelle università, e pare sia andata benissimo. E' però chiaro che per avere un nuovo evento Disney sentito da tutti bisogna aspettare il Natale del 2012 con l'uscita di Reboot Ralph in CGI, mentre per avere qualcosa di nuovo in 2d bisognerà aspettare ancora del tempo. Alcuni rumor però dicono che il buon Mattinson si sia messo all'opera su un nuovo progetto analogo a questo che dovrebbe stavolta rinverdire i fasti di un certo esserino dalle grandi orecchie da cui tutto cominciò...
Wikipedia
IMDB
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DVD - Winnie the Pooh - Nuove Avventure nel Bosco dei Cento Acri
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