Anno 2018
fonte: Disney Compendium
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Mary Poppins Returns si svolge ventiquattro anni dopo il film originale, e racconta appunto il ritorno della bambinaia a Cherry Tree Lane. Si tratta della sua seconda missione di salvataggio a casa Banks, questa volta per risollevare dalla depressione la versione adulta di Michael, padre di tre pargoli, vedovo da un anno e con una pesante ipoteca sulla casa di famiglia. Sebbene la morte della moglie e le difficoltà dovute alla recente crisi economica offrano alla storia degli spunti non di poco conto, questi vengono sviluppati secondo schemi narrativi piuttosto convenzionali. La vera attenzione è riservata alle sequenze musicali, organizzate secondo una scaletta che ripercorre con minime variazioni la struttura del predecessore. Ogni numero, pur ereditando il ruolo di una sua controparte storica, risulta di per sé pregevole e sufficientemente originale a garantire allo spettatore un buon grado di intrattenimento.
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Qualsiasi debolezza di natura narrativa non trova riscontro nell'aspetto visuale del film, assolutamente di prim'ordine. La ricostruzione della Londra di inizio secolo eguaglia la bellezza dei matte painting di Peter Ellenshaw che diedero tanto fascino all'originale, e risulta pienamente riuscita anche la replica dei vecchi set come Cherry Tree Lane, che vengono mostrati da angolazioni un tempo impossibili. Un discorso a parte merita la lunga sequenza animata (una ventina di minuti) che eredita il ruolo che fu della vecchia Jolly Holiday. I protagonisti si ritrovano infatti a viaggiare in un mondo di animali antropomorfi situato all'interno di un vaso di porcellana, e per l'occasione si torna a far un uso massiccio di animazione tradizionale. Sebbene la Disney Company si sia lasciata alle spalle da tempo la forma d'arte che aveva contribuito a inventare, le regole del nostalgia marketing sono chiare e impongono che si replichino in toto gli antichi sapori. Si ricorre così alla manodopera del Duncan Studio, un'unità esterna fondata dall'ex animatore disneyano Ken Duncan, in cui trovano spazio molti altri nomi illustri come James Baxter o Sandro Cleuzo.
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Gli animali antropomorfi che popolano la sequenza riproducono il feeling dell'originale, ma non risultano sterili cloni dello stile xerografico anni 60. Anziché replicare il tratto spigoloso del tempo che fu, si sceglie di adottare una linea tonda e più fluida, ottenendo un risultato molto diverso da quello del primo Mary Poppins.
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La colonna sonora è senza dubbio il fiore all'occhiello di Mary Poppins Returns. Gli autori sono Marc Shaiman e Scott Wittman, due artisti che prima d'ora non avevano mai dato il proprio contributo alla tradizione musicale disneyana, ma che si dimostrano perfettamente in grado di raccogliere il testimone che fu dei fratelli Sherman. A differenza del primo film, qui le canzoni sono “soltanto” nove, ma costituiscono una scaletta varia e decisamente interessante.
- (Underneath the) Lovely London Sky - Questa romantica e trasognata sequenza musicale apre il film, anticipando persino l'ouverture dei titoli di testa. A cantarla è un ispirato Lin-Manuel Miranda nel ruolo dell'acciarino Jack, maestro di cerimonie col compito di introdurre lo spettatore nella giusta atmosfera. La scena è davvero riuscita e trasmette pace, mentre la Londra della Grande Depressione, immersa nella nebbia del primo mattino, è a dir poco affascinante. Jack si pone in tutto e per tutto come erede di Bert, e la sua canzone di conseguenza ricorda molto la gloriosa Chim Chim Cher-ee, anche nel suo venir ripresa più volte nel corso del film.
- A Conversation - Non uno dei brani di punta del film, eppure un pezzo di rara eleganza e sensibilità. Eseguita da Ben Whishaw nei panni di Michael Banks, è il suo tenerissimo dialogo a senso unico con il ricordo della moglie defunta. Grazie alle note di un malinconico carillon, riesce in un colpo solo a rendere omaggio a The Perfect Nanny, la canzone che Michael cantava da bambino, e – per opposizione – al tema di suo padre, The Life I Lead.
- Can You Imagine That? - Contrapposto idealmente al celebre A Spoonful of Sugar, il primo impatto di questa nuova Mary Poppins in casa Banks è assolutamente convincente. Come nel film originale, il suo tema è una marcetta, diversa dalla prima, ma così mimetica nello stile da sembrare frutto dello stesso parto creativo. Orecchiabile, leggiadra e accattivante, Can You Imagine That?, onora pienamente lo spirito irriverente della sua interprete: il testo infatti sminuisce sarcasticamente la fantasia e la creatività, col solo scopo di provocare nei bambini una reazione opposta. La sequenza è interessante anche sul piano visivo: questa volta ad essere trasformato in un gioco è il lavarsi, e la fantasia marittima che ne scaturisce ricorda alla lontana Pomi D'Ottone e Manici di Scopa (1971).
- The Royal Doulton Music Hall - Il nuovo Jolly Holiday. Ritmo rilassato e una buona orecchiabilità per il brano che introduce la lunga e bellissima sequenza animata dallo studio di Ken Duncan. Non è la canzone qui il piatto forte, ma il comparto visivo, la linea dinamica che descrive gli animali, la colorazione brillante e il modo in cui l'intero ambiente è stato modellato, caldo e morbido nei tratti, ma senza dimenticare quella sensazione di durezza data dalla porcellana. Belli i personaggi, specialmente il lupo che fa da controparte animata del banchiere Wilkins (Colin Firth), e il design del cavallo, fortemente disneyano. Curiosamente, in una delle prime stesure si era pensato di mettere in scena la sequenza dello Chimpanzoo, proveniente dai libri della Travers, ma scartata già ai tempi del primo film.
- A Cover Is Not The Book - Il numero di varietà del Royal Doulton Music Hall riporta al centro della scena l'abilità di Miranda e della Blunt, che pur in un contesto di animali antropomorfi non si fanno minimamente oscurare. Ad accompagnarli sono nuovamente dei pinguini animati, questa volta diversi tra loro e con un design decisamente più espressivo. La formazione teatrale di Marshall e dei talenti coinvolti qui si vede tutta, e pur rimanendo contenuto in un solo ambiente non proprio enorme, si fa un ottimo utilizzo dello spazio scenico. Il testo presenta una serie di aneddoti e vicende narrate con brio e umorismo dai due attori protagonisti, provenienti dal corpus della Travers, e invitano a non fermarsi mai all'apparenza. Di certo non una morale particolarmente innovativa, ma sempre valida e soprattutto maggiormente interconnessa con la trama generale rispetto al suo archetipo Supercalifragilisticexpialidocious.
- The Place Where Lost Things Go - Uno dei brani più belli del film, la ninna nanna che Mary canta ai figli di Michael per aiutarli a superare il lutto per la madre e che avrà più tardi un reprise cantato proprio dai bambini. Ottimo il testo, evocative le metafore, incisiva la melodia. La canzone raccoglie il testimone sia di Stay Awake, sia di Feed the Birds. Probabilmente non raggiunge i fasti di quest'ultima, ma di sicuro supera l'altra, collocandosi già fra i migliori esempi di musica disneyana. Uno dei momenti più toccanti del film.
- Turning Turtle - L'ingaggio di Meryl Streep nel ruolo della cugina dell'est di Mary Poppins sembra ovviamente rievocare il personaggio dello Zio Albert (Ed Wynn) e la sequenza I Love to Laugh, proseguendo così il gioco delle corrispondenze tra i due film. La Streep fa un ottimo lavoro e musicalmente parlando il brano è simpaticissimo, anche se la coreografia che lo accompagna manca un po' di respiro. Il sapore balcanico della canzone le conferisce un'identità molto precisa, e il suo ruolo di parentesi stravagante e umoristica aumenta l'effetto di trovarsi di fronte a una canzone perduta degli Sherman.
- Trip a Little Light Fantastic - Se Step in Time era stato l'inno alla libertà intonato dagli spazzacamini, qui tocca agli acciarini condurci nella parte più tetra di Londra, tra buio e nebbia. Il sapore derivativo è innegabile, l'esecuzione ottima. La coreografia che si ha all'interno della piazzetta con i lampioni e la fontana è decisamente meno ariosa rispetto alla scatenata danza sui tetti, e manca quel senso di divertimento esagerato, tuttavia l'idea del linguaggio degli acciarini è ottima. Più tardi, quando entrerà in scena un Dick Van Dyke novantenne ma dal carisma intatto, si avrà un reprise della canzone, brevissimo ma addirittura più incisivo.
- Nowhere to Go But Up - Dopo il lieto fine, l'epilogo gioioso si ha nella sequenza della signora dei palloncini, interpretata da una tenerissima Angela Lansbury, a sua volta “reduce” della tradizione disneyana dei musical a scrittura mista (Pomi D'Ottone e Manici di Scopa). La canzone dovrebbe rievocare Let's go Fly a Kite ma finisce per ricordare invece lo Human Again di Alan Menken e Howard Ashman, segno di come l'anima di Broadway in questi lunghi anni abbia permeato l'estetica disneyana. La scena che mostra l'intero cast ritrovare la propria leggerezza volando nel cielo con dei palloncini osa parecchio in termini di sospensione dell'incredulità, e qua e là potrebbe risultare stucchevole. A ben vedere però si mantiene piuttosto in linea con la filosofia e i valori portati dal film, e in ogni caso a controbilanciare tutto c'è l'amara constatazione che, in ogni caso, l'indomani “gli adulti dimenticheranno”.
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BluRay - Il Ritorno di Mary Poppins
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