martedì 11 agosto 2015

Robin Hood (Robin Hood)



Anno 1973
21° lungometraggio Disney

fonte: Disney Compendium
Se si dovesse individuare un'elemento ricorrente della filosofia artistica disneyana, molti citerebbero le fiabe con protagoniste principesse. Ma a ben vedere, sin dagli albori dell'animazione Disney, la vera costante sono stati gli animali antropomorfi. Più semplici e divertenti da disegnare, i funny animals costituivano un'evoluzione dei principi narrativi di Esopo, trasfigurando zoologicamente la nostra stessa società. Topolino, Pippo, Paperino e Zio Paperone sono alcune delle più felici invenzioni disneyane, e appartengono a quel gruppo di personaggi conosciuti come standard characters, figure nate per essere ricorrenti sia sulla carta che sulla celluloide. Sebbene questo tipo di narrativa sia stata portata avanti principalmente sui fumetti e nei cortometraggi, durante gli anni 60 si pensò di mettere in cantiere un lungometraggio con animali antropomorfi.
Il protagonista di questo film, in un primo momento, sarebbe dovuto essere l'astuta volpe Reynard, personaggio del folklore europeo, presente in svariate favole medioevali. Walt Disney però decise di non portare avanti il progetto, poiché Reynard non era un personaggio positivo e non avrebbe potuto incarnare il ruolo di eroe della pellicola. Si pensò allora di riciclarlo come antagonista di un altro lungometraggio in lavorazione all'epoca, Chanticleer and Reynard, basato su una commedia teatrale di Edmond Rostand, ma anche questo progetto naufragò. Fu soltanto dopo la morte di Walt che l'idea di un film basato su una volpe riuscì a farsi nuovamente strada: l'animatore e soggettista Ken Anderson propose infatti di adattare la leggenda di Robin Hood con questo stesso spirito, scritturando personaggi animali e riuscendo così a riciclare in chiave positiva l'astuzia di Reynard.

Il lungometraggio è quindi una festosa e scanzonata rinarrazione della famosa storia di Robin di Loxley, fuorilegge che rubava ai ricchi per dare ai poveri, nell'Inghilterra dominata dall'usurpatore Giovanni Senza Terra. Questa leggenda era già stata trattata da Walt Disney nel suo secondo film in live action, The Story of Robin Hood and His Merrie Men (1952), ma viene qui riproposta privilegiandone l'aspetto umoristico, pur preservando gli snodi principali della trama, come ad esempio il torneo. Al personaggio di Robin Hood viene così associata la personalità della volpe Reynard, ed è solo una delle tante corrispondenze caratteriali tra queste figure letterarie e le loro controparti animali. Il ruolo del narratore interno alla storia viene preso da un gallo, il menestrello Cantagallo (Alan-a-Dale), Fra Tuck diventa un tasso, mentre il simpatico Little John non può che essere un grosso orso. Particolarmente arguta la rappresentazione di Re Riccardo e del Principe Giovanni: il primo è un leone, mentre il secondo è un puma, un leone di montagna privo di criniera, come a volerne sottolineare l'illegittimità. Da notare infine che non c'è traccia della banda di fuorilegge che fa capo a Robin, i Merrie Men. Pur venendo aiutato e supportato dagli altri personaggi, il fuorilegge agisce esclusivamente con l'aiuto di Little John.
Robin Hood è il primo progetto animato degli studios a non aver visto alcun contributo da parte di Walt. La regia è di Wolfgang Reitherman, uno dei nine old men, che in quegli anni aveva raccolto un po' il testimone dello stesso Disney, diventando una figura di riferimento assoluta per l'animazione. I primi film dell'epoca xerografica avevano toni leggeri, ben lontani dal registro drammatico delle produzioni più fiabesche, e Robin Hood non fa certo eccezione. Anzi, è sicuramente una delle pellicole più frivole e spensierate della filmografia disneyana, al punto che lo stesso Ken Anderson non si ritenne soddisfatto del risultato finale, ritenendo che molte delle sue idee fossero state banalizzate. Fra i motivi di queste recriminazioni c'era la scelta convenzionale di Reitherman di rendere lo Sceriffo di Nottingham un lupo, anziché una capra come voleva invece Anderson. Non bisogna dimenticare però che Walt era morto da pochissimo, ed è del tutto comprensibile che Reitherman e il suo staff non se la sentissero di uscire dal suo solco. Era molto più semplice ripetere schemi e formule consolidate, perché in quella fase contava di più andare sul sicuro.
Anche Robin Hood, come gli altri film animati dell'epoca, viene realizzato con la tecnica Xerox, che consiste nel fotocopiare direttamente sulle cel i disegni degli animatori, senza ricorrere all'inchiostrazione. Di conseguenza il look del film si adegua all'impostazione degli altri lungometraggi coevi, ricchi di smatitate e tracce di grafite. A partire dal successivo The Rescuers (1977) la tecnica verrà tuttavia impiegata con maggior moderazione, ricorrendo ad alcuni trucchi per limitarne le peculiarità. Al lavoro sull'animazione troviamo alcuni dei più importanti membri dei nine old men come Frank Thomas, Ollie Johnston, Milt Kahl, Eric Larson e John Lounsbery, ma anche alcune nuove leve come Dale Baer e soprattutto Don Bluth che, dopo alcuni anni passati come assistente, diventa qui animatore a tutti gli effetti. Lo stile di Bluth, con la sua recitazione eccessivamente enfatica, si intravede in numerose sequenze, dando un assaggio di quello che l'animatore avrà in serbo negli anni a venire.
È necessario però ricordare che la pellicola venne realizzata in una fase della storia disneyana in cui l'animazione non era più al centro delle strategie commerciali dell'azienda. Il budget stanziato per Robin Hood fu decisamente basso, se lo si paragona ai kolossal dei decenni passati, e questo si riflette proprio nell'aspetto visivo. Molti personaggi altro non sono che cloni di quelli apparsi in The Jungle Book (1967): Little John è un sosia dell'orso Baloo, mentre il consigliere Sir Biss (Sir Hiss) è un perfetto replicante del pitone Kaa. È evidente, inoltre, l'uso intensivo di animazione riciclata da altre pellicole disneyane. Questa pratica era già stata utilizzata con discrezione in altri film, ma mai come in questo caso. L'intera sequenza musicale The Phony King of England è infatti un collage di animazioni provenienti da Biancaneve e i Sette Nani (1937), Il Libro della Giungla (1967) e Gli Aristogatti (1970). Prima che l'home video fosse inventato, l'unico modo di tornare a vedere un film Disney era attendere le riedizioni cinematografiche, per cui non ci si aspettava certo che il pubblico se ne accorgesse.A partire da Sleeping Beauty (1959) le colonne sonore dei lungometraggi disneyani portano la firma del compositore George Bruns. Il suo stile è caratteristico e assolutamente inconfondibile, capace di infondere a questi film animati un'atmosfera cupa, compensando così la loro leggerezza. Bruns si occuperà soprattutto delle strumentali, e talvolta anche della scrittura di canzoni, lasciando però nella maggior parte dei casi quest'ultimo compito ai mitici Fratelli Sherman. I due artisti però all'epoca di Robin Hood avevano appena lasciato lo studio, chiudendo con Pomi d'Ottone e Manici di Scopa (1971) la loro lunga collaborazione, per cui era necessario sostituirli in qualche modo. Le cinque canzoni del film sono state quindi composte da persone differenti, fra i quali spicca Roger Miller, doppiatore di Cantagallo e interprete della maggior parte dei brani.

  • Whistle-Stop - Più che una canzone, è un motivetto che accompagna i titoli di testa. Si tratta di uno dei brani più caratteristici della colonna sonora, poiché non viene cantato normalmente ma attraverso buffi vocalizzi, mugugnii e fischiatine. Il suo autore è Roger Miller, che nei panni di Cantagallo introduce così la storia. Gli stessi credits sono piuttosto atipici: non iniziano immediatamente, ma dopo un breve prologo, e mostrano al pubblico in anteprima delle animazioni tratte dal film e rimontate in modo divertente. Questo trucchetto era già stato usato in parte nei titoli di testa del precedente Gli Aristogatti (1970), e può essere un indicatore del desiderio di risparmiare, ma anche di vivacizzare i credits, in genere un po' noiosi per lo spettatore comune. Non è un caso che nel decennio successivo i crediti iniziali sarebbero stati rimpiazzati dagli odierni titoli di coda.
  • Oo De Lally - Poco dopo i credits inizia immediatamente il secondo brano del film, ancora una volta scritto e interpretato da Roger Miller. Non è molto più di una filastrocca, che descrive una giornata-tipo per Robin Hood e Little John, ma è davvero riuscita nel suo intento di presentare i personaggi e i toni scanzonati della pellicola.
  • Love - Il tema d'amore tra Robin Hood e Lady Marian arriva in fase avanzata, mostrando una certa incoerenza nella distribuzione delle canzoni lungo la durata del film. A scriverlo troviamo lo stesso George Bruns, coadiuvato da Floyd Huddleston. Quest'ultimo è quasi una meteora nella storia Disney: aveva infatti contribuito anche alla colonna sonora di The Aristocats (1970), con il famoso brano Ev'rybody Wants to be a Cat, e avrebbe poi lavorato anche a The Rescuers (1977) per una versione preliminare del film ben presto scartata.
  • The Phony King of England - La scena madre del lungometraggio è questa canzone corale che i personaggi del film intonano nella foresta, prendendosi gioco del Principe Giovanni durante una festa. È scritta da un altro nome ancora, Johnny Mercer, ed è probabilmente uno dei brani più trascinanti e memorabili del film. Come si è visto, la sequenza è però famosa anche per contenere il più alto tasso di animazione riciclata di sempre, al punto che è veramente raro individuare materiale realmente nuovo al suo interno.
  • Not In Nottingham - È raro trovare un film Disney animato che contenga musica nuova in fase avanzata. È però proprio nella sua ora più buia che Robin Hood propone uno dei suoi brani più famosi, la malinconica Not in Nottingham, scritta e intepretata ancora una volta da Roger Miller. La scena offre uno scorcio sulle pene degli abitanti della città, vessati e condannati al carcere, a causa delle nuove politiche repressive del Principe Giovanni. (...)


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BluRay - Robin Hood  

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