lunedì 28 marzo 2016

La Sirenetta - Quando Tutto Ebbe Inizio (The Little Mermaid - Ariel's Beginning)



Anno 2008
lungometraggio direct to video


fonte: la tana del sollazzo
Ecco un film stupido. Ed è abbastanza azzeccato che in modo stupido si chiuda così un'era stupida, come quella dei cheapquel. Siamo quindi giunti al termine della serie, con l'ultimo prodotto sopravvissuto alla strage compiuta da Lasseter al momento di prendere il comando. Caduta la mannaia su cose come Gli Aristogatti 2: l'avventura di Minou, Chicken Little 2, Meet the Robinson 2: First Date, Pinocchio 2 e 3 e Beauty is the Beast, a convincere parzialmente Lasseter non era rimasto che questo. Questo e Cenerentola 3, che però era in fase troppo avanzata per essere buttato via. E ora anche questo film è uscito, recando sempre il logo Toon Studios ma con le animazioni realizzate fuori dalla Disney, precisamente a Toon City, patria di alcune produzioni direct to video non proprio esaltanti dal punto di vista grafico, come Red & Toby 2 e Le Follie di Kronk. Stavolta però siamo di fronte ad un prodotto molto più curato nel disegno e nell'animazione, e pur non raggiungendo alcune finezze proprie dello studio australiano, si nota come sia stato stanziato un budget parecchio alto per conferire alle immagini un certo appeal. Visto che qua e là alcuni tratti stilistici in comune con lo stile dello studio di Sidney però rimangono, è abbastanza logico pensare che si sia riversata in questa produzione parte del personale rimasto disoccupato. Ma sinceramente, a parte qualche animazione gommosa e una colorazione piuttosto piatta e anonima, elementi che fanno molto "età buia dei dtv", non è certo nel comparto grafico che il film delude.
E' la stupidità alla base della trama, della sceneggiatura, dello humor, dei personaggi che rende questo film tanto idiota. La storia è un prequel della Sirenetta, che a differenza delle dicerie che erano trapelate, non tiene minimamente conto della serie tv e dei fumetti, raccontando quindi da capo la morte della mamma di Ariel, l'incontro tra Ariel e Flounder e via dicendo. Piuttosto che spiegare le motivazioni alla base dell'esilio di Ursula, che interessavano sicuramente di più a tutti, si preferisce raccontare di come Ariel riporti in auge la musica nel regno di Atlantica dopo che Tritone la bandì per il dolore per la perdita della moglie. Una sinossi che a seconda di come la si tratti può dare il voltastomaco, come essere interessante. Il guaio è che si è scelto la prima strada, facendo cadere tutto nella farsa e nel poco convincente, tratteggiando Tritone in maniera del tutto infantile. La trama di base presenta Marina del Rey, una cattiva macchiettistica che di interessante ha solo il nome, e che per tutto il film preferisce comportarsi in modo insensato, cercando una promozione nella servitù del palazzo, cercando di gettare scredito su Sebastian e comportandosi in modo demenziale per tutta la durata della pellicola, salvo poi ricordarsi negli ultimi secondi di essere la cattiva, mettendosi in testa di uccedere Ariel, ancora una volta senza motivo alcuno. Ed è solo una delle tante insensatezze di una sceneggiatura che è un groviera, con buchi in quantità: non si spiega come faccia Marina a scoprire il club segreto in cui si pratica la musica, non si spiega che senso abbia il piano di Sebastian per risolvere la situazione facendo casualmente trovare ad Ariel un carrillon che da più di un decennio se ne stava sul fondo del mare. Insomma, la trama non è solo insignificante, ma assente. Se a questo aggiungiamo che il già poco pathos è completamente vanificato dalla tonnellata di humor fuori luogo inserito qua e là, con obbrobri come il Flounder rapper che da metà film in poi contamina ogni scena, o il nuovo personaggio che fa da assistente alla cattiva, interessante solo graficamente ma assolutamente irritante nel suo parlare in modo da sembrare sempre lì lì per fare una battuta che però non arriva mai, lo spettacolo è a dir poco desolante. Un continuo ammiccare, dar di gomito allo spettatore con stratagemmi uno più scontato dell'altro che altro non fanno che sottolineare l'insensatezza della trama.
C'è poi la colonna sonora a deludere un altro po', specialmente se consideriamo essere opera di Jeanine Tesori, che farà anche le musiche di Raperonzolo, il Classico del 2010. Decenti ma fiappine sono Athena's Song, la canzoncina della mamma di Ariel, e I Will Sing l'abbastanza orecchiabile canzoncina finale. Leggermente meglio I Remember che per forza di cose dovrebbe rappresentare il cuore del film, mentre è un vero disastro Just One Mistake, la canzone del cattivo, una disordinata accozzaglia di note, parlato, pessimo umorismo degna di altre celebri disarmonie da sequel come la canzone di Maestro Forte. Insomma, non ci siamo proprio, e spero proprio che tutto questo derivi dal basso budget dato alla Tesori e che per Rapunzel tutto vada meglio. L'unica scena musicale veramente riuscita è Jump in the Line in cui si ripesca una vecchia canzone di Harry Bellafonte per ripresentare Sebastian nella sua nuova veste di musicista clandestino, una scena che era stata usata come teaser per il film, che però sembra esser stata parzialmente rielaborata e rianimata. E il fatto che il brano migliore sia l'unico non originale la dice lunga sulla qualità della colonna sonora del film. (...)


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BluRay - La Sirenetta - Quando tutto Ebbe Inizio

La Sirenetta - Quando tutto Ebbe Inizio - BluRay




Contiene:
La Sirenetta - Quando Tutto Ebbe Inizio (The Little Mermaid - Ariel's Beginning) (min.77.30)
lungometraggio direct to video


Contenuti Speciali:
- documentario: splashdance (min.07.23)
- scene eliminate (min.05.47)
- visione del film in versione karaoke

La Sirenetta II - Ritorno agli Abissi (The Little Mermaid II - Return to Sea)



Anno 2000
lungometraggio direct to video

fonte: la tana del sollazzo
Che in Topolino e la Magia del Natale non fosse presente la dicitura Video Premiere non stupì poi molto, considerando che il film pur essendo un direct-to-video non era certo un sequel, e che per questo e altri motivi si discostava parecchio dalla linea di cheapquels intrapresa con Il Ritorno di Jafar. Che questa dicitura non fosse presente nemmeno in La Sirenetta 2 - Ritorno agli Abissi fu però una sorpresa. Evidentemente la Disney aveva deciso di rinuciare ad un'etichetta con dei precedenti poco edificanti, e soprattutto ad una classificazione così limitante, così d'ora in poi ogni sequel da cassetta sarebbe uscito col ben più asettico titoletto Walt Disney Picture Presenta.
Ma non fu certo la nuova dicitura a dare dignità ad un sequel che faceva della sua mediocrità la sua caratteristica principale. La Sirenetta 2 fu un tentativo di regalare un sequel al classico del 1989 che aveva riscattato la Disney da un periodo di crisi, proiettandola verso gli strepitosi anni 90. Un tentativo riuscito male visto che, a differenza del Re Leone 2, che tutto sommato non sfigurava poi troppo rispetto al predecessore, in questo lungometraggio la limitatezza del budget si sente tutta, allontanandolo il più possibile dalle atmosfere del classico e facendolo assomigliare più che altro ad una serie televisiva molto ben fatta. Anche questo sequel, come fu Il re Leone 2 e come sarebbero stati molti altri, focalizza sulla seconda generazione, dipingendola - che caso - come ribelle. La protagonista infatti è Melody, figlia di Ariel e Eric, che a differenza di sua madre, sogna di diventare una sirena. E fin qua la cosa ci può anche stare, se non fosse che questo giochetto dei contrari sarebbe stato poi abusato nella maggior parte dei sequel successivi. Anche questo film, come fu La Bella e la Bestia - Un Magico Natale, è pieno di saliscendi qualitativi che intaccano sia la grafica che la storia. Fra gli alti della trama si può ricordare la diga che all'inizio del film viene eretta da Tritone per separare per sempre il mondo terrestre da quello marino, mentre tra i bassi come non citare l'antagonista Morgana, sorella magra di Ursula, in cerca di vendetta, che stringe un patto all'inverso con Melody, o l'inutilissima coppia comica Tip & Dash, un pinguino e un tricheco che cercano in tutti i modi di emulare Timon & Pumba, con risultati patetici. Di buono c'è che, aldilà delle evidenti carenze del soggetto, il film non si può certo dirsi mal sceneggiato, e bene o male tutti i personaggi vecchi e nuovi riescono a ritagliarsi uno straccio di ruolo, per arrivare alla coralissima battaglia finale contro Morgana, che coinvolge più o meno tutti.
Graficamente parlando Return to Sea è molto vario, si passa da scene ben disegnate, a scene obbrobriose e animate a scatti, che benchè siano in minoranza intaccano molto la credibilità del lungometraggio. Alcuni personaggi però mantengono sempre un livello abbastanza buono, che però sfocia nella gommosità: si tratta di Sebastian, di Tip & Dash e di Morgana, che non avendo alcun referente nel classico originale, riesce ad essere convincente, se non addirittura piacevole. La cosa peggiore sono gli sfondi che sembrano colorati con gli evidenziatori, e soprattutto la tonalità predominante, quel verdeblu smeraldino che permea ogni scena rendendo il tutto visivamente monotono. Il problema è che sia il covo di Morgana che la maggior parte del film si svolge tra i ghiacci e di conseguenza non ci si ritroverà più davanti a blu intensi come quelli visti nel classico. Strano, perchè il film è stato prodotto dal dipartimento australiano della Disney Television che già aveva firmato Il Re Leone 2, ma ulteriore riprova di quanto variabile sia il budget e la qualità che ne consegue quando si parla di direct-to-video disney.
Paradossalmente però la colonna sonora è ottima. Si parte con una magnifica overtoure Down to the Sea, intonata dall'intero cast durante i festeggiamenti per il battesimo di Melody, e assolutamente rispettosa dello spirito Menkeniano, per poi passare all'ottima (anche se maltradotta in italiano) For a Moment, duettata da Ariel e Melody, legate dal montaggio alternato anche se narrativamente assai distanti. C'è poi la sprecatissima Tip and Dash, la canzone dei Timon & Pumbaa tarocchi, assolutamente inutile e fuoriposto, ma melodicamente molto valida, e che cantata in un'avventura marinaresca di Topolino, Paperino e Pippo, avrebbe espresso tutto il suo potenziale. Il gran finale Here on the Land and the Sea segna il congiungersi dei due mondi, in una sequenza piacevole quanto frivola. C'è anche una canzone proveniente dritta dritta dal classico originale, è Part of Your World che accompagna i titoli di coda (anche loro colorati identicamente a tutto il resto del film).
Ritorno agli Abissi dimostrò quanto Il re Leone 2 fosse stato un caso isolato, e quanto la strada per una qualità alta costante nei direct-to-video fosse ancora molto distante.

Wikipedia
My Little Mermaid

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BluRay - La Sirenetta II - Ritorno agli Abissi

La Sirenetta II - Ritorno agli Abissi - BluRay




Contiene:
La Sirenetta II - Ritorno agli Abissi (The Little Mermaid II - Return to Sea) (min.75.12)
lungometraggio direct to video


Contenuti Speciali:
- scena eliminata: gonna get my wish (min.01.52)
- cortometraggio: Merbabies (min.08.36)

domenica 27 marzo 2016

A Christmas Carol (A Christmas Carol)



Anno 2009

fonte:la tana del sollazzo
La motion capture è una tecnica d'animazione fallimentare. Questo in quanto non può valere come tecnica d'animazione, per i motivi che sono già stati fatti notare dall'uscita di Polar Express: il realismo maniacale oltre ad essere totalmente inutile in quanto scimmiottatura del live action, ci appare paradossalmente freddo, bamboloso e cadaverico. E' anche vero che la motion capture non è il demonio, se usata come effetto speciale: è il caso delle deformazioni estreme applicate ad attori umani come Gollum, agli uomini di Avatar, a Pinco Panco e Panco Pinco e alla Regina di Cuori di Tim Burton, tutti film in cui la componente live action non viene certo eliminata, nel caso di attori perfettamente umani e non mostruosi. Lì si ottiene un effetto bello e si dà un senso alla tecnica, proprio perchè la si vede come ausilio e non come rimpiazzo del live action. Sennò si può parlare del senso di immersione che può dare la terza dimensione in questo genere di film, ma in tali casi si parla di semplice elaborazione CGI degli sfondi e non serve certo che poi a prendervi parte siano i personaggi in motion capture. Insomma quello che Robert Zemeckis non sembra aver capito è che la motion capture è una maschera, uno strato di computer grafica che serve a modellare le fattezze di questo o quell'attore, e che proprio per questo è assolutamente inutile se non dannosa quando si tratta di rappresentare una persona normale. Non si capisce perché l'intero meccanismo cinematografico continui a supportare quella che è una specie di eresia e di via "sbagliata" di concepire l'animazione, né perché proprio nella Disney di Lasseter che nei credits di Ratatouille riportava un disclaimer che irrideva la motion capture, sia avvenuto questo accordo che la lega all'Imagemovers di Zemeckis. La verità è che Lasseter, la Pixar, i WDAS sono assolutamente estranei al fatto, né paiono approvarlo più di tanto, dal momento che sarà avvenuto a ben altri livelli amministrativi...
Ad ogni modo pur con molte preoccupazioni per il futuro (pare che l'accordo continuerà e avremo sempre più film in Mocap by Zemeckis, tra cui il sequel di Chi Ha Incastrato Roger Rabbit!) e qualche noia per il presente, che vede questo film contendersi il titolo di film Disney di Natale con quell'altro vero Evento che è La Principessa e il Ranocchio, con tristi conseguenze al botteghino per quest'ultimo, questo non è certo un film da prendere sottogamba o da snobbare. I motivi per cui considerarne inopportuna l'uscita ci sono tutti, è vero, ma a conti fatti l'opera che ne esce ha un certo pregio. Raccontare per l'ennesima volta a Natale la storia di Dickens, dopo che cinema e televisione ne hanno sempre attinto a piene mani, non è un sintomo di grande originalità, ma l'escamotage questa volta è quello di farne un adattamento fedele. Ecco quindi i pregi migliori, e cioè i dialoghi aulici che sprizzano carisma, e le atmosfere londinesi particolarmente ben riuscite, un vero inno al Natale. In tutto questo direi che il 3D è forse uno dei migliori alleati della pellicola, visto che tra la famosa e stracitata neve che cade fra le braccia e le varie carrellatone in giro per le strade innevate, sembra veramente di essere avvolti nella storia. E poi c'è lo stracitato elemento horror, molto ben riuscito e anche questo assai valorizzato dalla proiezione tridimensionale: tra spettri tormentati, visioni spaventose, miseria e ignoranza, direi che è un bel modo di parlare di redenzione. In tutto questo buona anche la recitazione di Jim Carrey, che mascherato da vecchio Scrooge sembra dare una parvenza di senso alla mocap...parvenza che viene assolutamente sputtanata dall'orrore che suscita Bob Hoskins nei panni gommosi di Fezzywig, e da più o meno tutta la cricca umanoide col piccolo Tim in testa. Da segnalarsi anche una Fionnula Flanagan, che i più ricorderanno come la Eloise Hawking di Lost, nei panni di una donna delle pulizie alquanto imbruttita. Poi c'è la colonna sonora che remixa motivetti natalizi con classe, e infatti è di Alan Silvestri che ci mette un sacco di epicità, è poi presente la canzone dei titoli di coda cantata da Bocelli God Bless Us Everyone.
In questo florilegio di atmosfera e di registro alto fanno però parecchio a pugni le parentesi umoristiche, che complice la tecnica devastante che toglie spontaneità, sembrano assai fuori luogo: imbarazzanti le scene umoristiche con Jacob Marley, le mossettine dello Spirito dei Natali Passati, i balletti allegri dei vari personaggi, tanto che le gigionerie di Carrey che invece si temevano non poco passano in secondo piano, quando non scompaiono del tutto (anche se lo Scrooge microscopico con la vocetta era evitabile). (...)



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BluRay - A Christmas Carol

A Christmas Carol - BluRay




Contiene:
A Christmas Carol (A Christmas Carol) (min.95.48)

Contenuti Speciali:
- visione del film con commento audio e video
- documentario: cogliere Dickens, una nuova versione del romanzo (min.14.43)
- gioco: conto alla rovescia per il Natale
- documentario: sul set con sammi (min.01.52)
- scene eliminate (min.08.39)

sabato 26 marzo 2016

Non C'è Festa Senza Rex (Partysaurus Rex)




Anno 2012

fonte: la tana del sollazzo
(...) Con questo terzo corto, pare che i Toy Story Toons abbiano trovato una collocazione tutta loro, abbinati a film non pixariani o a riedizioni stereoscopiche di Pixar del passato. In questo caso si tratta dell'uscita di Alla Ricerca di Nemo in 3D, che ha dato modo a questo corto di passare nelle sale, confermando una distribuzione differente e dosata meglio rispetto alla miniserie di Cricchetto. Questo terzo cortometraggio porta un po' avanti lo stile del precedente, preferendo focalizzarsi interamente su un personaggio che in questo caso è Rex, che viene finalmente reso protagonista dopo tanti anni in cui stava solo sullo sfondo. A Rex viene dato un momento di gloria, che per la prima volta lo affranca dalla fama di ansioso perdente che lo stesso Mr. Potato gli conferma all'inizio, canzonandolo. E come in Small Fry tutto questo passa necessariamente attraverso la conoscenza di un nuovo gruppo di giocattoli che nella trilogia cinematografica non era stato considerato: i giochi da bagno. Si esplora quindi un territorio del tutto nuovo, con le sue limitazioni e i suoi specifici problemi (in assenza di acqua per loro è difficile riuscire a muoversi), che però Rex riesce a far superare, organizzando per i suoi amici una sorta di rave acquatico. Il corto, molto simpatico, ha anche avuto una certa rilevanza dato che la Pixar gli ha fatto molta pubblicità, realizzandogli una locandina apposita, dedicandogli alcune interviste e rilasciando il brano elettronico Partysaurus Overflow, che fa da colonna sonora al corto, persino su iTunes. Mica male per un corto derivativo!


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DVD - Toy Story of Terror - Toy Story Tutto un Altro Mondo

Toy Story - Tutto un Altro Mondo (Toy Story That Time Forgot)




Anno 2014

fonte: la tana del sollazzo
(...)
In un anno senza lungometraggio Pixar al cinema, la casa della lampada ha comunque avuto la possibilità di uscirsene con un prodotto per il 2014, e si tratta dello special natalizio televisivo trasmesso dalla ABC lo scorso 2 dicembre, dal titolo Toy Story That Time Forgot.
È d'obbligo ricordare come, dopo il terzo film della saga cinematografica, Woody, Buzz e gli altri giocattoli protagonisti hanno continuato le loro avventure attraverso alcuni cortometraggi e, lo scorso anno, nella loro prima featurette pensata per la televisione e trasmessa in occasione di Halloween (Toy Story of Terror).
La Pixar punta quindi ancora sul suo cavallo più celebre per ricordare al pubblico di essere ancora viva e vitale, ma il risultato in realtà è opposto, almeno per gli spettatori un po' più esigenti.
Toy Story of Terror non era certo un capolavoro, ma nel complesso era una piacevole parentesi che sapeva intrattenere con gusto, intelligenza ed eleganza, mixando ottime gag derivate dall'atmosfera parodisticamente terrorifica ad un background solito e intrigante, che scavava addirittura nella psiche di Jesse.
La pecca maggiore risiedeva in alcuni meccanismi narrativi già utilizzati precedentemente, che facevano suonare alcuni leggere campanelli d'allarme sul limite di mungitura di questo franchise: mi riferisco al gestore dell'hotel, dagli intenti fin troppo simili a quelli del collezionista di Toy Story 2.
Questo difetto viene elevato a potenza nel nuovo special, dove l'intero intrigo si basa sul fatto che i dinosauri giocattolo dell'amichetto di Bonnie non sono consapevoli di essere "balocchi per bambini " (cit.) ma credono di essere veri dinosauri guerrieri, con tanto di clan e armature. Fuor di Pixar (inutile ricordare il parallelo con il Buzz del primo lungometraggio), negli ultimi anni si può ricordare almeno Bolt e gli insettoidi di Ralph Spaccatutto come personaggi convinti di essere il ruolo che interpretano. L'idea ormai non è più vincente e non riesce a creare un vero legame emotivo con lo spettatore, che conosce già le sfumature psicologiche e le conclusioni a cui porta questo stato di cose.
Altro neo è la scelta di rendere Trixie protagonista: il personaggio è molto simpatico, ma non ha il carisma necessario per assurgere al ruolo di primo piano, con un risultato non dissimile ai tentativi fumettistici di valorizzare Ciccio. La triceratopa viene comunque caratterizzata molto bene, e la sua spontaneità salvano la baracca, ma risulta fuori posto così al centro dell'azione. Anche Jesse in Toy Story of Terror era resa protagonista, ma in quel caso la scelta era maggiormente sensata e la storia ne guadagnava, anche perché i due mattatori Woody e Buzz non restavano in disparte, cosa che invece appare in modo drammatico stavolta, dove il cowboy e lo space ranger hanno pochissimo screen time. (...)


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DVD - Toy Story of Terror - Toy Story Tutto un Altro Mondo

Toy Story of Terror (Toy Story of Terror)



Anno 2013

fonte: la tana del sollazzo
Cambiano i tempi, e i cortometraggi trovano modo di riemergere nel panorama attuale, abbinati a lungometraggi animati, sottoforma di contenuti speciali per l'home video oppure come contenuti per il web. I mediometraggi invece, che negli USA vengono chiamati featurettes, cioé "filmetti", hanno trovato a partire dal 2009 una collocazione ancora diversa. I WDAS con Prep and Landing hanno infatti aperto la strada degli "holiday special" televisivi e da quel momento in poi tutti i principali studi di animazione come la Dreamworks o gli stessi DisneyToon Studios hanno detto la loro, confezionando dei segmenti lunghi una ventina di minuti, di qualità assolutamente cinematografica, da collocare strategicamente nei palinsesti in occasione delle festività, rinforzando così i propri brand. E infine è toccato anche alla Pixar, che col formato ibrido dei venti minuti non aveva ancora mai realizzato nulla. Il soggetto non poteva che essere il cast di Toy Story, che reduce dalla propria trilogia cinematografica, era da un po' di tempo a questa parte utilizzato per dei cortometraggi, prodotti prevalentemente dalla succursale canadese della Pixar. Diversamente da essi, questo Toy Story of Terror è invece stato realizzato ad Emeryville, a causa della recente chiusura della sede di Vancouver.
Il cast coinvolto è solamente una parte di quello che conosciamo: mancano Slinky, Hamm, Mrs. Potato e altri, ma era inevitabile. Una durata minore significa anche dover ricalibrare i ritmi e trovare un equilibrio tra un cast in continua espansione e un minore screen time per ognuno di loro. E considerando che sono riusciti a inserire un po' di vecchie glorie, una selezione di giocattoli di Bonnie (tra cui l'ottimo Mr. Pricklepants) e alcuni personaggi nuovi di zecca come Combat Carl, il lavoro che è stato fatto è sicuramente egregio. Oltre alle ovvie citazioni horror, l'approccio metacinematografico di Mr. Pricklepaints, e al solito umorismo di alto livello, c'è anche una strutturazione niente male del tessuto narrativo. Infatti ad una prima parte mistery, segue una seconda più action che trova anche il tempo di raccontarci la sottotrama, che tanto secondaria non è, di Jessie e della sua claustrofobia. Il superamento dei traumi di Jessie e l'esito della storia, che riguarda un ladro di giocattoli, intenzionato a venderli a caro prezzo su ebay, potrebbe dare adito a certe critiche che hanno visto in questo speciale una riproposizione di tematiche già trattate nel secondo lungometraggio. Ma è anche vero che questi aspetti del mondo di Toy Story non venivano mostrati da tanto, e la stessa Jessie dopo il suo esordio non aveva mai avuto un momento di vero protagonismo, per cui non può che far piacere questo revival.
Insomma, l'approdo Pixar al mondo dei mediometraggi è avvenuto in modo assolutamente positivo, per cui non c'è alcun dubbio che se si continuerà su questa strada (e a quanto pare accadrà) ne vedremo ancora delle belle.


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DVD - Toy Story of Terror - Toy Story Tutto un Altro Mondo

Toy Story of Terror - Toy Story Tutto un Altro Mondo - DVD




Contiene:
- Toy Story of Terror (Toy Story of Terror) (min.20.45)
- Toy Story - Tutto un Altro Mondo (Toy Story That Time Forgot) (min.20.45)
- Vacanze Hawaiiane (Hawaiian Vacation)   (min.05.40)
- Buzz a Sorpresa (Small Fry)   (min.06.48)
- Non C'è Festa Senza Rex (Partysaurus Rex) (min.06.18)

Contenuti Speciali:
- commenti audio
- documentario: team di esperti (min.11.24)
- trailer (min.01.23)
- pubblicità dei giocattoli vintage: old timer (min.00.45)
- pubblicità dei giocattoli vintage: combat carl (min.00.56)
- pubblicità dei giocattoli vintage: transitron (min.00.49)

mercoledì 23 marzo 2016

In Viaggio con Pippo (A Goofy Movie)



Anno 1995

fonte: Disney Compendium
(...)
n Viaggio con Pippo non ha niente a che vedere con le altre produzioni della Disney Television o dei DisneyToon Studios, qualitativamente zoppicanti e rivolte ad un target ingenuo e infantile. Il suo DNA è puramente WDAS e questo traspare in ogni sequenza. Una regia consapevole, una sceneggiatura fluida e dei dialoghi arguti rendono la storia raccontata assolutamente universale, come nella miglior tradizione dei classici Disney.
(...)
Visivamente parlando, In Viaggio con Pippo è un film con un suo stile. Diversamente dalle future produzioni Disney Television, i cosiddetti “cheapquel” che cercheranno senza successo di riprodurre con scarsi mezzi lo stile dei film originali, qui non c'è alcun modello da rincorrere. Al massimo si prende le distanze in tutto e per tutto dallo stile della serie televisiva e questo non fa che nobilitare il design di ogni personaggio, realizzato ai WDAS durante la preproduzione. Quanto all'animazione, il lavoro svolto dagli studi francesi è ottimo, di certo non esente da sbavature, tuttavia appagante per l'intera durata del film. Ci sono tuttavia un paio di scene in cui alcuni virtuosismi saltano decisamente all'occhio, ad esempio quella ambientata a Possum Park e quella con Pippo e Pietro nell'idromassaggio, che qualitativamente stanno al di sopra del resto del film. Potrebbero essere le famose sequenze australiane supervisionate da Steve Moore, o persino un contributo all'animazione degli stessi WDAS, in ogni caso non fanno che aumentare l'effetto di essere di fronte non ad un film minore della filmografia disneyana, ma ad un vero e proprio classico d'animazione.
(...) 



Passato e presente non fanno che rincorrersi e bisticciare per tutto il corso del film, incarnati dai due protagonisti, l'antiquato Pippo e il moderno Max. È quindi normale che si sia voluto dare alla colonna sonora del film una doppia anima. Sono presenti infatti canzoni nel più classico stile musical, composte da Tom Snow, che per Disney già lavorò a Oliver & Company (Streets of Gold), ma anche canzoni intradiegetiche di natura pop, che nel film si immaginano essere cantate dalla rockstar fittizia Powerline, ricalcata su Michael Jackson. L'effetto è quello di una commistione armonica di generi, che contribuisce a rendere il film un compendio culturale americano.
  • After Today - La prima canzone del film fonde con maestria due tipologie di canzoni tipiche dei musical di Broadway, l'I want song con la quale il protagonista illustra al pubblico i suoi desideri e le sue frustrazioni, e l'happy village song, canzone collettiva che serve a immergersi nell'ambiente dove avrà luogo la storia. Si tratta della canzone che un Max scornato canta a sé stesso l'ultimo giorno di scuola sognando di riscattarsi dall'immagine di “goof” che è convinto di avere. La sequenza è adrenalinica e meravigliosa, anche perché rappresenta con ironia l'intero microcosmo scolastico delle high school americane.
  • Stand Out - È la prima delle due canzoni pop di Powerline, che Max sceglie come colonna sonora dell'esibizione che dovrà riscattarlo agli occhi della scuola. La sequenza è davvero bella, e pur rappresentando in tutto e per tutto lo stile dei videoclip di quegli anni, non risulta datata. La canzone viene bruscamente interrotta dall'arrivo del preside, ma avrà modo di completarsi in un secondo momento con un frizzantissimo reprise.
  • On the Open Road - L'allegra canzone di Pippo in autostrada è uno dei gioielli del film. Non solo grazie alle sue sonorità country richiama a meraviglia la sua natura di personaggio vintage, legato ad un contesto sociale che non c'è più, ma è perfetta nel suo creare un contrasto con il malumore di Max. Inoltre è l'occasione di far sfilare i tanti compagni di viaggio che affollano l'autostrada, ognuno rappresentante un pezzo di America (e non solo): le cantanti dirette a Nashville, la limousine che va a Beverly Hills, il cameo di Topolino e Paperino, la vecchia gattara, per non parlare del cadavere che come se niente fosse si rianima per ballare tra la folla. Una sequenza veramente straordinaria.
  • Lester's Possum Park - Qui si fa intelligente auto citazionismo e parodia. Il riferimento all'attrazione di Disneyland Country Bears Jamboree è evidente, come anche la citazione alle origini campagnole da hillbilly di Pippo. Si tratta della canzone di presentazione che un gruppo di animatronic scassati fa del decadente Lester's Possum Park, lasciando Max senza parole e accentuando così il divario con il padre. Si tratta di una sequenza demenziale, probabilmente la più divertente del film, ma dal retrogusto tragicomico. Nel cd della colonna sonora ne è presente una versione estesa.
  • Nobody Else But You - Una delle più importanti leggi del musical è che quando i personaggi finiscono le parole, allora è il momento di usare una canzone. E non poteva essere applicata meglio che in questo film tale legge, dal momento che la canzone in questione arriva solo dopo che Pippo e Max hanno litigato furiosamente, dicendosi in faccia tutto quello che si erano tenuti dentro sin dall'inizio del film, fino a svuotarsi completamente. Si tratta della lenta e tenera canzone di ricongiungimento tra padre e figlio, un duetto che avviene in un contesto poco consueto, visto che i due stanno appollaiati sul tetto dell'auto, che galleggia nel fiume tra i canyon.
  • I2I - Ed ecco la seconda delle due canzoni di Powerline, che fornisce al film il suo climax. È la sequenza in cui Pippo e Max finalmente riescono a infiltrarsi sul palco per tenere fede alla promessa fatta da Max a Roxanne, ed è l'occasione per mettere finalmente in scena il personaggio della rockstar, citato indirettamente sin dall'inizio del film. E senza mezzi termini si tratta di una sequenza esplosiva, nella quale gli artisti parigini hanno riversato ogni studio fatto sulla pop culture anni 90, riuscendo a darne un ritratto sentito ma non per questo ruffiano o ridondante.
Va inoltre citato l'uso che viene fatto di musica preesistente in un paio di casi. Nell'autoradio di Pippo è possibile sentire High Hopes di Frank Sinatra, nella sequenza del Big Foot invece viene accidentalmente acceso il walkman di Max dal quale proviene Stayin' Alive dei Bee Gees.
(...)

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DVD -  Dingo et Max 
VHS - In Viaggio con Pippo


Dingo et Max - DVD



Contiene:
In Viaggio con Pippo (A Goofy Movie) (min.74.33)

Contenuti Speciali assenti.

Il nostro Amico Atomo (Our Friend the Atom)



Anno 1957

fonte: Disney Compendium
(...) Our Friend the Atom è il terzo episodio della miniserie divulgativa conosciuta come Tomorrowland.Regista di questo “interludio” èHamilton Luske, e le differenze di impostazione con il resto della serie sono evidenti: l'irriverente umorismo kimballiano viene infatti momentaneamente messo da parte, e la struttura del programma non prevede più la suddivisione a compartimenti stagni delle sequenze, ma un unico discorso organico e fluido. (...)


Come lo stesso Disney dice all'inizio del programma, gli artisti del suo studio non sono scienziati ma narratori. Lo storytelling disneyano da sempre si distingue per semplicità, chiarezza e capacità di arrivare ad un pubblico il più vasto possibile. Per spiegare agli spettatori la natura dell'atomo si ricorre quindi ad una fiaba, un breve sketch animato di pochi minuti, che diventerà però la metafora a cui verrà fatto riferimento per tutto l'episodio. Si tratta della storia conosciuta come Il Pescatore e il Genio, tratta da Le Mille e una Notte: un povero pescatore si ritrova tra le mani una giara da cui esce un temibile genio, che minaccia di uccidere il suo liberatore. Grazie alla sua arguzia, l'uomo riesce a raggirare il mostro, imprigionandolo nuovamente e portandolo ad esaudire i suoi desideri. Quella che poteva costituire una terribile forza distruttiva viene quindi resa inoffensiva e in un certo senso “amica”. L'intera scenetta è un gioiello di stilizzazione, graziata da un uso intelligente dell'animazione limitata. Lo stile non è esagerato come quello di Kimball, ma leggermente più classico. (...)
Sebbene in Our Friend the Atom sia presente molta altra animazione, questa comprende prevalentemente immagini statiche, schematiche o fortemente stilizzate. La storia del pescatore rimane dunque la sequenza animata più elaborata, e infatti verrà più e più volte tirata in ballo nel corso della dissertazione di Haber per illustrare meglio alcuni concetti. Lo scienziato spiega infatti che l'uranio è il minerale che rappresenta idealmente il genio cattivo, e che il nostro compito è capire come sia possibile farcelo amico, allo stesso modo del pescatore. È del tutto normale che Disney ricorresse a questo tipo di metafore per rassicurare un pubblico che aveva ancora bene in mente quanto successo a Hiroshima e Nagasaki poco più di un decennio prima. Successivamente si passa a raccontare la storia del rapporto tra l'uomo e l'atomo. Si comincia chiaramente nell'antica Grecia con Democrito, il primo a teorizzare l'esistenza di particelle indivisibili, vera e propria materia prima dell'universo. A causa dello scetticismo di Aristotele, le idee di Democrito sarebbero state ignorate per molti secoli, almeno fino al 1803, quando lo scienziato John Dalton le riportò in auge, formulando la sua teoria atomica.In questa parte del programma vengono passati in rassegna i principali scienziati che nel corso degli anni hanno portato avanti lo studio sull'atomo. Si cita Amedeo Avogadro e la sua teoria secondo cui gli atomi si legano insieme per formare delle molecole, inoltre vengono citate le ricerche di Henri Becquerel e dei coniugi Pierre e Marie Curie sull'uranio e il radio, che avrebbero portato a scoprire la radioattività. C'è infine spazio per una parentesi divulgativa sulla teoria della relatività di Albert Einstein, e su alcune importanti invenzioni come il microscopio. A rimanere impresso è soprattutto l'utilizzo dell'animazione schematica, grazie alla quale lo staff Disney riesce a comunicare concetti anche molto complessi, mostrandoci come gli stati della materia (solido, liquido, gassoso) derivino dal movimento degli atomi in essa racchiusi, e come sia possibile usare il calore per metterli in moto e produrre energia. Viene così fatto riferimento alle macchine a vapore, costruite proprio su questo principio, e alla loro necessità di alimentarsi di continuo con carbone e petrolio, dimostrando di essere ben lontane dal “genio nella giara” tanto desiderato dall'uomo. (...)


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Eyes in Outer Space



Anno 1959

fonte: Disney Compendium
Eyes in Outer Space rappresenta un'appendice ideale per il progetto Tomorrowland (...)

Disney lo fa registrare come special cartoon, tuttavia l'animazione presente al suo interno è veramente esigua, e le finalità del mediometraggio sono strettamente divulgative. (...)

Il tema questa volta sono i satelliti artificiali, e come questi possano aiutarci a tenere sotto controllo il tempo atmosferico. L'argomento era all'epoca molto attuale, dato che l'Unione Sovietica aveva da pochissimo lanciato nello spazio il primo satellite artificiale, lo Sputnik (1957).
La featurette si apre mostrandoci alcune riprese live action che anticipano i temi del film: immagini di razzi che partono per lo spazio e di catastrofi naturali causate da uragani e altre tempeste. Una voce spiega come il tempo atmosferico sia una parte importante della nostra vita, e per esporre meglio il concetto viene introdotto un gustosissimo segmento animato in puro stile Kimball, che affronta l'argomento dal punto di vista puramente antropologico. Con l'uso dell'animazione limitata scopriamo come il maltempo ci metta di malumore e viceversa, come il freddo ci rallenti o il caldo ci renda nervosi, e in alcuni casi addirittura criminali. Si passa poi alla sequenza più divertente di tutte, in cui Kimball prende in giro i modi retrogradi con cui gli anziani amano fare previsioni, affidandosi ad antiquati almanacchi, a dicerie e persino a superstizioni. Vediamo un vecchietto sciorinare proverbi totalmente inventati, che diventano sempre più assurdi scena dopo scena, finendo addirittura per danneggiarlo. Si tratta di uno sketch di soli due minuti, ma esilaranti e incivisi come poche altre cose.Finito lo spazio riservato all'umorismo più dissacrante, si passa a illustrare il ciclo vitale di una goccia d'acqua, utile a spiegare il funzionamento del tempo atmosferico. Anche questa volta viene usata l'animazione ma in modo completamente diverso: vediamo infatti delle sagome stilizzate, colorate con uno stile che ricorda molto i pastelli a cera usati dai bambini. Una goccia presente in una pozzanghera viene riscaldata dal sole, evapora e raggiunge le nuvole, dove torna a condensarsi e precipita di nuovo giù in forma liquida o, nel caso della grandine, in versione solida. Ancora una volta l'edutainment disneyano fa totalmente centro, usando delle immagini accattivanti per spiegare il concetto nel modo migliore. La dissertazione inoltre avviene in rima e a ritmo di jazz, facendola assomigliare ad una divertente sequenza musicale. Purtroppo la componente animata di Eyes in Outer Space si esaurisce qui, e nella seconda parte il programma farà invece uso prevalentemente di live action.La terza sequenza del mediometraggio è strettamente divulgativa. L'animazione è presente in forma di effetti speciali o tramite schemi dimostrativi, ma a prevalere sono le riprese dal vivo. Si parla del ruolo del sole e dei suoi effetti sul nostro pianeta. Viene inoltre spiegato come si formano le tempeste, e il modo in cui si possa riuscire a prevederle, osservando il movimento delle nuvole. Questa parte è in realtà una digressione sul ruolo del meterologo, di cui viene analizzata attentamente la professione. Si passano in rassegna gli strumenti oggi in loro possesso per svolgere il proprio lavoro, come le mongolfiere e altre attrezzature analoghe. Infine si spiega come i satelliti possano essere in grado di supportarli, diventando in futuro i nostri “occhi sullo spazio”. L'ottimismo di Walt è presente anche questa volta, e nel finale del film non manca infatti una ricostruzione ipotetica di come si pensa potranno andare le cose in futuro, esattamente come accadeva al termine di ogni episodio di Tomorrowland. (...)

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Mars and Beyond



Anno 1957

fonte: Disney Compendium
Con Mars and Beyond viene finalmente portato a compimento il progetto Tomorrowland. Il programma va in onda il 4 dicembre 1957 all'interno della serie tv antologica Disneyland e chiude il trittico di mediometraggi a tema spaziale firmati da Ward Kimball. (...)

Ritrovatosi ad affrontare un argomento tanto ipotetico, Kimball lascia chiaramente andare la sua fantasia a briglia sciolta, creando alcune sequenze che rimarranno nella storia dell'animazione, al punto che gli storici del cinema concordano nel ritenere l'esotico Mars and Beyond l'episodio migliore del ciclo. A presentare lo show troviamo come di consueto Walt, questa volta in compagnia di Garco, uno dei primi robot umanoidi mai costruiti. L'introduzione questa volta è molto breve e ben presto si passa alla prima lunga sequenza del programma. Si tratta di una ventina di minuti di animazione che, analogamente al segmento di apertura di Man and the Moon, ripercorrono con molto umorismo la storia dell'uomo e del suo rapporto con l'astronomia. Si parte dalla preistoria, quando si pensava che le stelle tramontassero andando a finire sul mare, e si avanza secolo dopo secolo prendendo in esame tutte le teorie più bislacche espresse da sapienti e filosofi. Le idee retrograde di Tolomeo, la rivoluzione apportata da Copernico e Galileo, tutto viene adeguatamente reinterpretato dalla feroce matita di Kimball.
L'animatore passa poi a dare vita alle ipotesi più fantasiose mai espresse riguardo la vita su altri pianeti, e si diverte così a ritrarre creature pazzesche e a renderle protagoniste di gag surreali. Si tratta di limited animation di altissima qualità con la quale Kimball dà vita alla versione disneyana dei marziani de La Guerra dei Mondi di H. G. Wells e persino alle creature descritte da Edgar Rice Burroughs nei suoi libri, con quasi sessant'anni di anticipo sul John Carter (2012) di Andrew Stanton. Il culmine viene tuttavia raggiunto dallo sketch conclusivo, in cui l'artista dà libero sfogo alla sua vena di follia, creando una parodia della fantascienza pulp dell'epoca. Come sempre Kimball si rivela un asso nel giocare sui tempi comici, e con un ritmo sincopato alterna le sequenze in cui il presunto eroe se ne sta in panciolle a fumare la pipa, con quelle in cui la sua segretaria si ritrova a fuggire dai marziani. Tutto avviene in un crescendo di demenzialità, in cui ogni cliché viene messo in burletta e l'umorismo nonsense la fa da padrone, tanto da includere addirittura un cameo di Paperino.
Concluso questo primo straordinario segmento umoristico, il tono dello show diventa decisamente più serio. La seconda sequenza fa quello che tanti anni prima aveva fatto La Sagra della Primavera di Fantasia (1940), proponendo al pubblico una rigorosa ricostruzione scientifica della nascita del nostro pianeta. Il punto di vista questa volta viene decisamente allargato, e ad essere preso in esame ora è l'intero sistema solare. Vengono quindi descritte le origini del Sole, della Terra e della vita, spiegando il ruolo del carbonio in tutto questo. Seguiamo poi il nostro cammino evolutivo, dai primissimi esseri unicellulari fino all'arrivo dell'uomo sul pianeta. Tutto questo ci viene illustrato ancora una volta grazie all'animazione ridotta, ma senza ricorrere alla stilizzazione, preferendo un approccio più realistico. Scopo di questa digressione è spiegare quali siano le condizioni ideali per la nascita della vita, e infatti successivamente vengono passati in rassegna tutti i pianeti del sistema solare, giungendo alla conclusione che soltanto Venere e Marte presentano caratteristiche analoghe alla Terra. A causa della perenne foschia che impedisce di osservare accuratamente Venere, non rimane che Marte a cui rivolgere le nostre attenzioni.
Nella terza sequenza si affronta finalmente l'analisi del pianeta in questione. Questa volta a scorrere sullo schermo sono immagini schematiche o riprese in live action, mentre l'oggetto della dissertazione sono gli astronomi che nel corso dei secoli hanno fatto teorie sulla natura del pianeta. Si parla soprattutto di Percival Lowell che, basandosi su alcune teorie di Giovanni Virginio Schiaparelli, arrivò a teorizzare che su Marte potesse esserci dell'acqua, una vegetazione e persino dei canali ormai secchi, vestigia di una passata civiltà. La teoria si sarebbe in seguito rivelata infondata, e i canali visti da Lowell al telescopio delle semplici illusioni ottiche. Ospite della sequenza è l'astronomo E. C. Slipher, che provvede invece a fornire al pubblico alcuni dati certi sul pianeta rosso. Lo scienziato spiega come il pianeta sia più piccolo rispetto alla Terra e come la sua rotazione avvenga a velocità doppia rispetto a noi, al contrario della sua rivoluzione attorno al Sole, due volte più lenta. Infine, Marte ha due satelliti, Deimos e Phobos, il corrispettivo della nostra Luna. Si tratta dell'unica sequenza dell'intero programma in cui l'animazione non ha un ruolo di primo piano.
La quarta parte di Mars and Beyond offre qualcosa di davvero unico nel panorama dell'animazione disneyana. Gli artisti si divertono infatti ad immaginare quale sarebbe ora l'aspetto del pianeta se in condizioni diverse la vita fosse stata in grado di svilupparsi. Questo what if permette agli animatori di sbizzarrirsi dando corpo alle loro fantasie, pur rimanendo in parte ancorati alle nozioni scientifiche apprese. Sullo schermo sfilano così creature inquietanti e fantasiose, eppure a loro modo credibili. Lascia stupiti la strada imboccata dallo staff di Kimball per rappresentare questa esotica utopia. Non è la prima volta che in queste produzioni televisive si rinuncia alla stilizzazione, per ricercare un approccio più realistico. Dopotutto era accaduto anche nel secondo segmento di questo Mars and Beyond, dedicato alla nascita della vita. Non era mai successo però che in tali casi si decidesse di rinunciare anche all'animazione ridotta. L'intera sequenza presenta infatti una ricchezza visiva tale da far invidia alle produzioni per il grande schermo, e l'accostamento fra la tradizionale full animation disneyana e queste immagini affascinanti e disturbanti crea un effetto incredibilmente drammatico.
Mars and Beyond si conclude in modo analogo ai suoi due predecessori, con una simulazione di quello che si ipotizzava sarebbe stato il primo viaggio dell'uomo su Marte. A introdurre questa quinta sequenza sono Ernst Stuhlinger e lo scienziato Wernher von Braun, già apparso nei precedenti episodi. I due ipotizzano che a portare l'uomo su Marte saranno delle navicelle alimentate a energia atomica, che partiranno da una base spaziale in orbita intorno alla Terra, arrivando alla meta tramite una traiettoria a spirale. La ricostruzione questa volta non è in live action ma in animazione ridotta, applicata ad uno stile realistico, come avveniva anche nel finale di Man in Space, primo episodio del ciclo. Inoltre, è nettamente più breve del solito. Mars and Beyond è sicuramente il capolavoro della serie e non stupisce quindi la scelta di Disney di distribuirlo sul grande schermo, in una versione opportunamente accorciata. In futuro la sequenza iniziale dei cavernicoli sarebbe stata riciclata all'interno del mediometraggio animato Man, Monsters and Mysteries (1974), mentre il robot marziano della parodia sci-fi di Kimball avrebbe fatto ritorno nello short Mickey's Mechanical House prodotto dalla Disney Television all'interno del revival Mickey Mouse Works (1999). Infine, nel 1959 verrà prodotto un mediometraggio di mezz'ora destinato al grande schermo, Eyes in Outer Space, ancora una volta diretto da Kimball, ideale appendice del progetto Tomorrowland.    


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Man and the Moon



Anno 1955

fonte: Disney Compendium
Con Man and the Moon la miniserie Tomorrowland giunge al suo secondo episodio. (...)

Si comincia con un segmento interamente animato, che prende in esame il rapporto tra il genere umano e la luna, ripercorrendo secoli e secoli di storia. Il nostro satellite è sempre stato un enigma sin dagli albori dell'umanità, quando si credeva che fosse un globo luminoso trovato sottoterra e poi cresciuto fino a raggiungere il cielo. Uno dopo l'altro vengono ripercorsi tutti i tentativi dell'uomo di spiegarne la natura, inventando favole e miti di ogni tipo, storielle che possiamo oggi considerare precursori del genere sci-fi. Dall'ispirata matita di Kimball prendono così vita le divertenti avventure sulla luna narrate nel corso degli anni da illustri personalità quali Keplero, Francis Godwin, Cyrano de Bergerac o lo stesso Jules Verne. L'animazione ridotta si rivela l'ideale per accentuare il senso di straniamento di fronte alle bizzarrie di queste surreali storie, popolate da creature improbabili poste in circostanze del tutto folli. Dopo aver passato in rassegna i vari racconti, ci si sposta nel campo della superstizione e, con uno stile ancor più sintetico, ci vengono illustrate le diverse credenze che riguardano la luna: c'è chi pensa che il nostro satellite sia fatto di formaggio, chi lo ritiene il posto in cui vanno a finire le cose perdute, chi è convinto che le fasi lunari siano in grado di portare fortuna o sfortuna nello svolgimento di determinate attività.

In questa rassegna culturale non manca il campo artistico, in cui le opere ispirate alla luna si sprecano. Vengono presi in esame i testi di William Shakespeare, le più famose filastrocche infantili e persino la musica leggera. L'intera sequenza animata dura una ventina di minuti e costituisce uno dei più intelligenti e accattivanti utilizzi dell'arte della limited animation. A risplendere non è soltanto la felicissima sintesi grafica dei personaggi, ma il ritmo sincopato delle gag e i relativi tempi comici, che segnano un punto di arrivo per l'umorismo disneyano. L'esempio più fulgido di questo nuovo approccio alla risata è la scenetta musicale che chiude questo primo segmento, un vero capolavoro.
  • Ah, See the Moon! - Si tratta della parodia di una vecchia canzone firmata da artisti di Tin Pan Alley, centro musicale che all'epoca aveva un gran successo. Ad esser presa in giro è la tipica canzoncina popolare romantica. Il testo è folle e totalmente venato di nonsense, con parole a caso che vengono tirate in ballo solo per far rima con “moon”. Ma è nelle immagini che Kimball spinge sul pedale della follia, osando come mai prima d'ora. Queste sono infatti del tutto scorrelate dal testo della canzone e bombardano lo spettatore con una mitraglietta di gag folli e velocissime, in cui vediamo personaggi di ogni tipo fare piccolissimi movimenti, ma dall'effetto comico dirompente.
Concluso questo excursus, il programma entra nella sua seconda parte, dal registro totalmente opposto. L'animazione scompare completamente, e al massimo si fa uso di artwork o immagini schematiche. È ancora una volta Ward Kimball a prendere la parola, per spiegare in termini scientifici alcuni aspetti molto importanti del nostro satellite. Si parla della sua origine, vengono spiegate le fasi lunari e come la gravità influenzi il moto delle maree. Inoltre viene chiarito molto bene il motivo per cui la luna ha un lato oscuro, che a noi rimane celato, e che cosa invece ci sia in quello visibile. Successivamente Kimball lascia la parola a Wernher von Braun, lo scienziato tedesco già apparso nel precedente Man in Space. Si tratta sicuramente della sequenza più tecnica dello show, per ovvi motivi. Von Braun spiega che il raggiungimento della luna è solo il secondo step della conquista dello spazio, ma che per poterci arrivare serve prima costruire una base spaziale che possa rimanere in orbita e fornire quindi un valido appoggio agli esploratori. Il suo intervento è sotteso a spiegare come sia possibile trasportare nello spazio, pezzo per pezzo, tutto l'occorrente per montare quest'immensa base circolare.
introdurre la terza e ultima sequenza di Man and the Moon è nuovamente von Braun, che presenta al pubblico il modellino del razzo che dovrebbe riuscire a portare l'uomo fino alla luna. Come per Man in Space, anche qui viene messa in scena un'ipotesi di come potrebbero andare le cose quando l'uomo sarà in grado di fare questo passo. Questa volta però la rappresentazione non è più in animazione limitata, bensì in live action. Più che ad una ricostruzione siamo di fronte ad una fiction a tutti gli effetti, in cui alcuni attori interpretano il ruolo dell'equipaggio che andrà per la prima volta a scoprire la luna. È interessante notare come all'epoca non fosse previsto alcun allunaggio, ma uno studio a debita distanza di ciò che il nostro satellite offre. Il razzo infatti girerà attorno alla luna, scattando foto e studiandone addirittura il lato oscuro. Si tratta sicuramente di una sequenza affascinante per l'epoca, ma piuttosto soporifera per lo spettatore moderno. Il ritmo è infatti molto lento e i personaggi per tutto il tempo non fanno altro che darsi istruzioni tecniche mentre maneggiano le apparecchiature della nave, senza conferire alla narrazione una componente emotiva.
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Man in Space



Anno 1955

fonte: Disney Compendium
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Tomorrowland era inizialmente il nome di una delle quattro aree in cui è suddiviso Disneyland, il parco tematico che aprì i battenti nel 1955. Per promuoverne l'imminente apertura, Walt diede il nome “Disneyland” anche alla sua prima serie televisiva, un programma antologico che avrebbe dovuto portare settimanalmente in tv materiale vecchio e nuovo.
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per Tomorrowland vennero prodotti quattro splendidi documentari a scrittura mista.
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Per dirigere la maggior parte di questi episodi venne chiamato proprio Ward Kimball, uno dei nine old men che in quegli anni si era occupato di evolvere l'arte dell'animazione disneyana. Kimball aveva uno spiccato senso dell'umorismo e con le sue sequenze animate poteva alleggerire moltissimo la componente didattica di queste opere. Inoltre, il suo essere completamente privo di competenze scientifiche fu visto di buon occhio da Walt: chi meglio di lui avrebbe potuto accompagnare il pubblico alla scoperta di argomenti tanto complessi? Per la colonna sonora venne chiamato un altro pilastro dello studio, ovvero George Bruns, che in quegli anni si stava occupando della musica di svariate produzioni disneyane. Il primo documentario del ciclo fu Man in Space e andò in onda il 9 marzo del 1955
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Man in Space viene generalmente classificato come un mediometraggio di cinquanta minuti, piuttosto corposo e strutturato in quattro sequenze distinte. In apertura troviamo lo stesso Walt Disney, che in quegli anni ricopriva spesso il ruolo di cerimoniere nei suoi show televisivi. Ben presto però la parola passa a Kimball, che introduce il concetto chiave dello show, ovvero il sistema che permetterà all'uomo di raggiungere lo spazio: il razzo. È in quest'occasione che troviamo le prime animazioni di stampo kimballiano, che ci raccontano la storia di questo sistema di propulsione sin dalle origini: i primi fuochi d'artificio, le fantasticherie di Jules Verne, i fallimentari tentativi di costruire un razzo a vapore e infine i modelli attuali, in sequenza tramite un veloce montaggio. Chiaramente qui l'animazione viene usata solo nelle prime scene, in mancanza di vere immagini di repertorio che possano illustrare i concetti espressi, per poi passare gradualmente al live action. È notevole invece l'inserimento del famoso filmino di Meliés Le Voyage dans la Lune (1902), che qui viene preso in esame come esempio di trovata fantasiosa ma a suo modo lungimirante.
La seconda parte è di carattere assai più tecnico. Per l'occasione viene chiamato lo storico della scienza tedesco Willy Ley, che illustra ad un gruppo di artisti Disney il funzionamento dei razzi che dovrebbero riuscire nell'impresa di portarci nello spazio. L'animazione questa volta è limitata a semplici schemi, visivamente spartani ma utili per trattare l'argomento nel modo più chiaro possibile. Il luminare, con il suo accento tedesco, spiega che per arrivare nello spazio bisogna riuscire a svincolarsi dalla gravità terrestre, e per far questo è necessario che il razzo sia composto da diverse parti staccabili una dopo l'altra, fino a lasciare in orbita solo la “punta” del veicolo. In questo caso si parla di razzi a due e a tre fasi, ma successivamente nel programma verrà presentato anche un modello a quattro fasi. Si tratta sicuramente della sequenza più ostica di Man in Space, che ricorda per certi versi l'approccio usato più di un decennio prima all'interno del lungometraggio Victory Through Air Power (1943). Il coinvolgimento di reali esperti all'interno di questi programmi divulgativi rimarrà uno dei punti chiave del progetto di Walt.   
Per la terza parte viene invece coinvolto Heinz Haber, un importante fisico e divulgatore tedesco, il cui compito è introdurre al pubblico il concetto di “space medicine”. Si tratta senza dubbio della sequenza più interessante per gli appassionati di animazione Disney, dato che il segmento è interamente animato e pregno di umorismo kimballiano. Viene infatti creato un simpaticissimo omino stilizzato, che verrà sottoposto ai diversi disagi a cui il primo uomo nello spazio rischierà di andare incontro. Come sempre Kimball si rivela irriverente e incisivo, e le teorie di Haber trovano così una degna rappresentazione. Si comincia dalle tremende deformazioni che il corpo umano può subire a causa dell'accelerazione dovuta alla partenza, per la quale si consiglia una posizione supina, e si prosegue poi con il disorientamento dovuto alla mancanza di peso. Azioni semplici come respirare, mangiare, dormire e anche solo svagarsi possono diventare fonte di problemi e inconvenienti, che solo tramite questa disciplina è possibile imparare a gestire. La necessità di fissare gli oggetti per impedire che fluttuino, la complessità nel maneggiare i liquidi, il rischio di incorrere in meteoriti o raggi cosmici, la tuta spaziale: ogni argomento viene sviscerato tramite gag argute e un utilizzo virtuoso dell'animazione limitata, tale da rendere il segmento una gemma.
Nella quarta e ultima sequenza troviamo un altro importante ospite, l'ingegnere Wernher von Braun, tra i grandi padri della missilistica, che presenta al pubblico un avanzato modello di razzo a quattro fasi, l'XR-1, che si immagina potrà portare finalmente l'uomo all'obiettivo. Per l'occasione viene nuovamente utilizzata l'animazione disneyana, creando così una rappresentazione drammatizzata di come si ipotizzava sarebbero andate le cose nel corso della prima missione spaziale. Stilisticamente siamo di fronte a qualcosa di inedito: l'animazione ridotta viene infatti applicata ad immagini non stilizzate ma realistiche. La regia chiaramente preferisce inquadrare veicoli e architetture, lasciando l'essere umano in secondo piano e limitandone il più possibile i movimenti. Si tratta chiaramente di una rappresentazione molto statica ma interessante per il suo forte impatto drammatico. La missione viene mostrata nel dettaglio, dal lancio alla scomposizione del razzo in quattro parti, e infine il rientro di ciò che rimane dell'intero veicolo, ovvero una semplice navicella, pilotabile come un aereoplano. Si tratta chiaramente della scena culmine del programma, che paradossalmente al giorno d'oggi mostra un po' il peso dei suoi anni, dato che tale impresa sarebbe poi stata compiuta nel 1961 dal russo Jurij Gagarin in circostanze molto diverse.
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Disco 1
Contiene:
- Man in Space (min.51.17)
- Man and the Moon (min.54.45)
- Mars and Beyond (min.54.28)

Contenuti Speciali:
- introduzione di Leonard Maltin (min.01.20)


Disco 2
Contiene:
- Eyes in Outer Space (min.26.39)
- Il nostro Amico Atomo (Our Friend the Atom) (min.51.56)
- documentario: Epcot (min.25.34)

Contenuti Speciali:
- introduzione di Leonard Maltin (min.00.51)
- documentario: The Optimistic Futurist, an interview with Ray Bradbury (min.24.40)
- documentario: Marty Sklar,  Walt and Epcot (min.26.33)
- galleria di immagini
- documentario: Sherman Brothers perform "There's a Great Big Beautiful Tomorrow" (4:05) (easter egg)